Bertozzi

Romanzo di Julio Carreras (h)
Traduzione: Patrizia Iezzi - ESI (Roma-Napoles, 1999)

domenica, febbraio 13, 2005

Nouvelle

… Io sono l'uccello bennu
che è in Annu, e sono il custode del libro delle
cose che sono e delle cose che non sono.
Libro Egiziano dei Morti

(Il papiro di Ani)


Chi sei?
Puoi essere davvero ciò che immagino,
Forse sei un fantasma,
Un ente che ispira terrore.
Oh, se mi fosse dato conoscerti!
Se tu volessi rivelarti a me!
Tu che mi traesti dalla terra
E mi forgiasti con il fango,
Guardami!
Chi sei, oh Creatore?

Inno Quechua
(frammento)


Le scienze che seguono i percorsi che le sono propri, non hanno causato molto danno fin'ora; però un giorno l'unione di quelle conoscenze dissociate ci aprirà alla realtà e alla posizione indelebile che in questa occupiamo, prospettive così terribili che impazziremo davanti alla rivelazione, o fuggiremo da quella funesta luminescenza, rifugiandoci nella sicurezza e nella pace di una nuova età delle tenebre.

H.P. Lovecraft
I miti di Cthulú


Tutta una cosmogonia e tutta una psicologia possono trasmettersi in un geroglifico che non ha alcun significato per chi non è iniziato.

Dion Fortune
La Cabala mistica




Prologo

Il 25 giugno 1945 il capitano B. fu convocato d’urgenza a Roma dal Comandante in capo. Si trovava al Cairo con una delegazione e quella chiamata lo sorprese.
Erano momenti molto difficili per l’Italia. La guerra era praticamente finita, ma non c’era ottimismo nei segni che si percepivano. Forze d’occupazione molto pesanti opprimevano la dolce Madre Patria. E la povertà del popolo sembrava aver fatto eruzione in osceno contrasto con la prodigalità dei vincitori.
L’aereo che lo trasportava sorvolò alle sette del mattino il Mediterraneo, e ancora una volta Cesare Filippo provò un fremito di piacere davanti a quella magnifica piana di acciaio scintillante sotto il sole.
A Roma fu ricevuto proprio dal Comandante in capo che gli diede appuntamento per il pomeriggio stesso alle 15.00, in Via di Porta Lavernate, dove gli avrebbe affidato una missione molto importante. Il Comandante in Capo sottolineò in modo particolare il fatto che dovesse vestirsi in borghese, senza alcunché di stravagante, cosa che infastidì intimamente B. poiché non aveva mai avuto inclinazioni esibizionistiche nel vestire, ma non disse nulla. Gli fu anche detto di portare con sé un bagaglio leggero, perché lì avrebbe avuto inizio un itinerario che lo avrebbe riportato di nuovo in Africa.
Alle tre in punto del pomeriggio, il marchese Da Milano gli presentò il dottor Massimo Toddi, archeologo, col quale sarebbe partito di nuovo verso l’Adriatico. Con un’auto privata iniziarono il lungo viaggio che li avrebbe portati al Convento di Castilenti dove arrivarono verso il tramonto. Il Priore aveva fatto preparare due camere confortevoli. Dopo una cena frugale, il dottor Massimo Toddi disse al capitano B. che dovevano svegliarsi alle cinque giacché alle sei in punto gli sarebbe stato comunicato l’oggetto della sua missione.
Tutto si svolse secondo i piani. Alle sei meno un quarto il capitano B., il dottor Massimo Toddi e un monaco benedettino in là con gli anni, si trovarono in una stanza circolare situata in un luogo particolare dei sotterranei del Convento. Qui, sotto una luce strana proveniente da non si sa dove, il dottor Massimo Toddi spiegò a B. i punti salienti della missione.
Doveva trasportare fino in Etiopia, con la massima riservatezza e sicurezza una scatola di piombo che gli avrebbero consegnato subito dopo.
La scatola conteneva un pezzo di pergamena con iscritta una leggenda. Quella pelle non avrebbe dovuto cadere in alcun modo in mani estranee, ma solo in quelle del destinatario. E visto che era stato scelto proprio per il suo alto senso di responsabilità, il capitano B. sarebbe stato informato direttamente dal dottor Massimo Toddi sul valore di quel reperto archeologico.
Avrebbe avuto nelle mani un oggetto unico dal potere immenso. Quel foglio di pelle di capra, così liscio, conteneva la Parola capace di trasformare e ricreare l’Ordine dell’Universo. Era stata scoperta dai saggi dell’Antichità e, per praticità d’uso, fissata dagli eseni con inchiostro indelebile.
Nel periodo dell’espansione italiana degli anni ’30 era capitata nelle mani del dottor Toddi durante un viaggio di studio in Libia. Gliel’aveva affidata un ladro prima di morire sotto i colpi di pistola della polizia. Fece anche in tempo a indicargliene le proprietà e il nome e l’indirizzo del vero proprietario pregandolo di restituirla, per liberare la sua anima da quel peso.
Il dottor Massimo Toddi pensò che quella pelle avrebbe potuto essere uno strumento formidabile per aiutare a realizzare la Nuova Italia che si sognava.
Era caduta provvidenzialmente nelle sue mani e si sentì in dovere di metterla immediatamente a disposizione del Duce.
Prima di esalare l’ultimo respiro, il ladro aveva anche detto che quel pezzo di pelle di capra non avrebbe sortito alcun effetto se non fosse stato unito e utilizzato insieme con l’altra metà che era nelle mani di una “donna adriatica”.
Dieci anni della sua vita e quelli di un nutrito gruppo di ufficiali dei Servizi Segreti se ne erano andati dietro l’unico affannoso lavoro della ricerca della donna e dell’altra parte della pergamena. Ma non avevano avuto successo. A quel punto era imperativo evitare che gli invasori entrassero in possesso di quella reliquia e persino che venissero a conoscenza della sua esistenza. Doveva essere restituita al più presto al legittimo proprietario o ai suoi discendenti.
Era quella la missione segreta del capitano Cesare Filippo Bertozzi che doveva imbarcarsi quel pomeriggio stesso fino alla volta dell’antica Etiopia.


***

Il capitano Bertozzi arrivò con non poche difficoltà nel luogo indicato dalla mappa consegnatagli da Massimo Toddi che gli aveva anche raccomandato di distruggerla a missione compiuta. Era una viuzza gremita di passanti, nel centro commerciale di Mái Edagá. Di fatto il posto era un altro mercato dove due giovani offrivano essenze di tutti i tipi, delicate ceramiche di artigianato e parecchie stoffe dai disegni molto vari. Sembrarono veramente sorpresi quando l’italiano chiese del “dottore Abdul al Alhazred”. Prima di rispondere confabularono a lungo - anche se sottovoce - nel loro idioma impenetrabile.
Alla fine lo fecero passare nel retrobottega in una saletta appartata, tutta adorna di ricchi tappeti persiani.
Dovette attendere per circa mezz’ora finché una donna, col viso coperto, gli indicò di seguirla ancor più all’interno della casa.
In un ampio salotto lo attendeva un uomo molto anziano con un vestito all’europea piuttosto stropicciato e senza cravatta. Quando si presentò - parlando un perfetto italiano - come Abdul Ib’n al Alhazred, il capitano Bertozzi gli chiese cortesemente di mostrargli le sue generalità. Allora l’uomo fece qualcosa di veramente straordinario. Si trasformò in una pantera nera e lucente che, balzando dalla poltrona dove era seduto l’anziano, cominciò a girare intorno all’ufficiale guardandolo minacciosamente. Con mano incerta il capitano Bertozzi estrasse dalla valigetta la scatola di piombo che conteneva e nello stesso momento il vecchio, pallido in volto, riapparve seduto sulla poltrona.
Prima di congedarlo, gli disse alcune parole che il capitano avrebbe segnato in seguito sul suo taccuino per non dimenticarle:
«Tu non sei il predestinato, ma in questi giorni, nascerà dal tuo seme colui al quale sarà dato di trovare e capire la Parola».


***

Alcuni mesi dopo, per ragioni apparentemente fortuite, fu incaricato ancora una volta di prestare servizio a Mái Edagá.
Quella volta fu trasferito con sua moglie Lydia che era incinta.
E lì, in un giorno caldo e ventoso, nacque dalle sue viscere il figlio. Era d’oro e splendente, come un piccolo sole.



Parte prima



Roma, agosto 1995.



- Quell’uomo - disse Laura - è lo stesso che abbiamo visto all’uscita dell’hotel di Pescara.
Un individuo alto, biondissimo, estremamente curato nel vestito scuro, era appena sceso da una Lancia metallizzata che continuò per la sua strada. Apparentemente andava a comperare qualche cosa in un piccolo negozio della Via Ostiense, proprio di fronte e sotto la casa dei Bertozzi.
- Beh, potrebbe arrivare a sapere quasi tutto quel che facciamo, chiedendocelo o attraverso i giornali - rispose Bertozzi cercando di non dare importanza al fatto. Non vedo perché avrebbe bisogno di spiarci.
- Tu non lo sai - disse dubbiosa Laura. Il caffè fumava formando un arcobaleno evanescente attraversato dal sole del mattino. Dal suo posto vicino all’alta finestra vide l’uomo che usciva - probabilmente uno straniero - che, dopo aver guardato nella loro direzione, salì sulla stessa automobile che con puntualità cronometrica era ripassata a prenderlo. - Forse possiedi qualcosa che lui cerca e tu non lo sai.
- La cosa più preziosa che possediamo di solito è nel nostro cuore - disse Bertozzi -. E generalmente non lo sappiamo.
- Non mi riferivo a questo - obiettò Laura con un grazioso gesto di impazienza - . Quel tipo di gente non corre dietro alle cose spirituali.
In effetti, i tratti affilati di quell’uomo, i suoi movimenti felini facevano subito pensare a un combattente o a un “cacciatore”. Il taglio dei capelli e lo sguardo blu, gelido, suscitavano, come in una sferzata, l’immagine di certi ufficiali dei Servizi Segreti Nazisti.
- Non sarà questo quello che cerca? - esclamò Laura. Aveva preso dagli scaffali zeppi di libri, una specie di agenda foderata di pelle marrone.
- Il taccuino di mio padre - riflettè Bertozzi. Perché dovrebbero cercarlo?
Senza rispondere direttamente, Laura sfogliò un momento le numerose annotazioni e dopo aver osservato attentamente il numero di pagina, lesse un paragrafo come a caso:
- … “il marchese Da Milano, mi disse che se avessero trovato l’altra parte della pergamena, il risultato della guerra sarebbe stato sicuramente molto diverso…”
Bertozzi sembrò riflettere in silenzio. Dopo un po’ rispose:
- Sì. Probabilmente è questo ciò che cercano. La pergamena di Mái Edagá. Ma mio padre non ha lasciato, né nel taccuino né altrove la benché minima indicazione di come arrivare a questo Abdul al Alhazred di cui parla, o a qualcuno che ce lo possa indicare… (E poi, in cinquant’anni, le cose devono essere cambiate abbastanza, no?). Il marchese Da Milano è morto senza lasciare eredi; del dottor Massimo Toddi, nessuno sa dove sia sparito… E molto probabilmente quell’arabo Abdul al Alhazred, che era già vecchio quando mio padre lo conobbe, non ci sarà nemmeno più.
Laura lesse di nuovo:
“in questi giorni, nascerà dal tuo seme colui al quale sarà dato di trovare e capire la Parola…“
- Con questo cosa vuoi dire… - mormorò Bertozzi.
- Che forse… cercano te - sillabò lentamente Laura - che forse la chiave è in te.
Bertozzi non potè evitare che un fremito percorresse tutto il suo corpo. E per la prima volta sentì il riflesso di un oscuro, lontano timore.


Losanna, agosto 1995.



Il banchiere Peter Hymet si sentì sempre più interessato al racconto dell’antropologo spagnolo che avevano assunto.
- Sembra che quel pezzo sia esistito veramente… o esista… - continuò quest’ultimo. Secondo la leggenda fu creato dagli eseni.
- Chi sono gli eseni? - domandò la segretaria di Peter Hymet.
- Erano - disse l’antropologo -. Erano una setta israelita, nata, sembra, durante l’esilio del popolo ebreo, in Persia circa quattrocento anni prima di Cristo…
La ragazza emise un’esclamazione:
- Così tanti!
- Circa centocinquant’anni prima di Cristo - continuò l’antropologo, senza farle caso - gli eseni decisero di tornare in Israele. Sembra che ponessero molte speranze in un movimento fondamentalista sorto in quell’epoca, i Maccabei, che cominciarono a lottare per liberarsi dai greci ai quali erano ancora sottomessi e che obbligavano il popolo a fare cose che aborriva. Per esempio, praticare sport nudi… Ciò che per i greci (maschi o femmine) era naturale poiché lo avevano fatto fin dalle origini della loro civiltà, per gli ebrei costituiva un vero orrore.
- Giacché gli ebrei hanno sempre avuto una mentalità arretrata, da quel che si è visto - considerò la segretaria. Senza la minima intenzione di perdere il filo del racconto, il giovane con la barba scura proseguì:
- I Maccabei (che all'origine erano una famiglia, ma che con l’appoggio di gran parte del popolo ebreo divennero un esercito), attaccarono i soldati di Antioco Epifano IV e gli inflissero sconfitte su sconfitte. Fu una guerra molto dura e lunga, in realtà, durante la quale si posero le basi di una nuova organizzazione statale israelita. Quando ottennero l’espulsione definitiva dei greci, la famiglia Maccabea rimase padrona del potere, nella persona del suo lider di allora, Giovanni Hircano.
- Per favore, puoi parlarci della pergamena? supplicò Peter Hymet.
- E’ necessario raccontare i precedenti per comprenderne il senso - affermò l’antropologo.
“ Insomma, Giovanni Hircano ha fatto tutto il contrario di ciò che gli eseni si aspettavano. Loro volevano la restaurazione di Israele specie per ciò che riguardava la sua cultura. Vale a dire, l’osservanza a ogni costo delle leggi e di tutti i precetti sacri, obbligatori per una razza che fanaticamente credevano eletta da Dio. Ma i Maccabei, che durante il processo indipendentista avevano ricevuto l’appoggio politico dei romani, erano diventati sempre più lascivi in modo direttamente proporzionale al sempre maggior accumulo di ricchezze e potere. Inoltre, a causa del connubio con Roma si erano occidentalizzati e stavano trasformando il culto a mera formalità.
«Allora, guidati da qualcuno che nei loro scritti chiamano il Maestro di Giustizia - probabilmente un Sommo Sacerdote indispettito, poiché gli eseni credevano che dopo la vittoria avrebbero dovuto affidar loro l’amministrazione del tempio…
« Che stavo dicendo? Ah!, guidati dal Maestro di Giustizia, gli eseni decisero di abbandonare in massa il corrotto popolo israelita, per fondare una Città Santa nel deserto.
- Ci riuscirono? - domandò la segretaria.
- Sì, disse l’antropologo - . Costruirono case solide e spaziose, sulla roccia, e formarono una società religioso-comunista, composta di uomini casti che producevano tutto quello di cui avevano bisogno, evitando così qualsiasi forma di dipendenza dal peccaminoso mondo esteriore.
«Lì, in quelle rocce, si rifugiarono allora per pregare e attendere il Messia.
«Fu in quel periodo di grande delusione temporale e di intensa vita spirituale che fu creata la pergamena.
- Finalmente - sospirò a bassa voce Peter Hymet.
- La redasse un anziano filosofo esenio, Qohelet, che pensò che se il Messia doveva dominare la terra per i veri israeliti, sarebbe stata necessaria un’arma poderosa in grado di dissolvere tutta la cattiveria e le crudeltà accumulate dagli uomini… E lui, Qohelet, nelle sue ricerche occulte, l’aveva scoperta nonostante non avesse avuto il coraggio di usarla.
«Era - secondo la leggenda - una semplice congiunzione di lettere (per la precisione nove) scritte in un idioma soprannaturale ignoto al mondo di allora. Isolate non servono a niente, ma unendole e pronunciandole in un certo modo, avrebbero dato al detentore il potere di scomporre e riorganizzare la materia, tutta la materia, dal fiore più piccolo a una montagna gigantesca, compresa la materia cosmica, quella che si compone di energie invisibili ma ancora più potenti di quelle della fissione nucleare…
Per un lungo momento tutti rimasero in silenzio. Poi, ansiosamente, il banchiere svizzero Peter Hymet domandò:
- Bertozzi possiede la metà di quella pergamena?
- No, ma profetizzarono al padre che avrebbe trovato la via per conseguirla…
- Sequestriamolo, allora - suggerì la segretaria - sicuramente lo convinceremo a indicarci il modo per arrivarci…
- Sarebbe meglio aspettare che fosse lui a trovarlo, replicò l’antropologo -. E dopo, “invitarlo” a casa nostra.
- Sono dello stesso parere - disse il banchiere -. Ma dopo aver trovato la pergamena, Bertozzi non ci servirà più a niente. Così invece di portarlo con noi, credo che potremmo esentarlo definitivamente dal far parte di questo contaminato pianeta…



Roma, 1995.



Angelo Merante era preoccupato per le conseguenze che potevano derivare dall’ipotesi suggerita da Bertozzi. Mentre guidava nell’intenso traffico di Viale Aventino si diceva che non era possibile l’esistenza di un'equazione di quel tipo.
Secondo questa - secondo questa ipotesi - l’esistenza materiale dipendava da un sistema di relazioni metafisiche. Da lì, a sostenere che ciò che si percepisce con i sensi è un’illusione - come sostengono i buddisti - il passo era breve.
Dove andava a finire allora la complicata e seria ricerca degli scienziati occidentali che per secoli avevano accumulato, pezzo su pezzo, particella su particella, un bagaglio formidabile di evidenze legate alle dimostrazioni razionali - e, certamente, materiali - dell’esistenza? Che sarebbe successo dei sofisticati strumenti di osservazione e misurazione creati dall’uomo, come il microscopio o le reazioni chimiche, se tutto si poteva modificare con una voglia di volontà, per mezzo di vaghe idee?
Poiché l’ipotesi della pergamena non significava altro. La pretesa che con una combinazione di allusioni astratte, generate sulla base di certi segni, si potesse modificare la composizione molecolare della materia. Né più né meno di quanto sostenuto da certi maghi del Medio Evo, del Rinascimento - come Paracelso - che certamente era stato sepolto dalla vera scienza.
Ma Bertozzi era il suo miglior amico, e un uomo onesto a tutti gli effetti. La sua ansia di ricerca, inoltre, era sempre stata puntigliosa e accuratamente organizzata. E se quell'ipotesi ereditata dal padre risultasse essere vera? Angelo Merante non volle pensarci e, approfittando della sosta davanti a un semaforo, accese una lunga sigaretta turca, tirandola fuori da un astuccio di legno con disegni inisti che gli avevano regalato da poco.



1995, Francavilla al Mare e Roma.



Fu allora che accadde quell’incidente strano nella via principale di Francavilla al Mare. Bertozzi tornava con la sua motocicletta dall’Università quando fu bloccato da una macchina con quattro uomini. L’urto delle ruote lo fece cadere sul marciapiede.
L’automobile frenò con stridore e gli uomini scesero di corsa verso di lui. Bertozzi era convinto che si trattasse di un incidente e che gli uomini scendessero per aiutarlo.
Per fortuna era illeso e stava per dirlo, ma quelli, senza aprir bocca lo circondarono minacciosi e uno di loro, afferrandolo brutalmente per il colletto della giacca, gli disse in un pessimo italiano:
- Tutto ciò che farai contro Israele ti costerà molto caro… - e con uno spintone lo buttò a terra.
Così come erano venuti, scomparvero. Alcune persone si avvicinarono a offrire il loro aiuto, e mentre ringraziava, Bertozzi si chiedeva mentalmente:
- Ma cosa c’entra Israele? Non ho mai avuto niente contro di loro… o sarà uno scherzo? (certo di pessimo gusto, visto che quasi mi costa un osso).
Il fatto colpì molto il suo amico François Proïa che non volle lasciarlo tornare da solo a Roma. Lui stesso lo portò prendendo il volante del coupé di Bertozzi.
Quando arrivarono trovarono una lettera proveniente dall’Etiopia. Laura non aveva dato tanta importanza al fatto, prima che finissero di raccontarle ciò che era accaduto a Francavilla al Mare.
Ma Bertozzi aveva già aperto la busta con il vapore e spiegava meravigliato davanti ai suoi occhi un foglio di carta dorata scritto a grandi caratteri con un pennello.
La lettera era scritta in greco antico, ma Bertozzi conosceva quella lingua, così che, nonostante certi dubbi, fece subito la traduzione.
La lettera diceva più o meno questo:

Tu che fosti tra gli eletti di coloro che seguirono i dettami di Joab per la custodia del nostro benedetto re Salomone.
Tu che albergasti nel tuo ventre la luce divina del nostro beneamato Quenhaz.
Tu che avesti il privilegio della forza del nêfed, affinché compissi ciò che era stato promesso.
Oggi quel giorno è giunto.
Devi rispondere alla chiamata del destino, iscritta da millenni nel tuo essere immortale.
A Mai Edagà aspettano te, il vecchio guardiano del nostro tempio ti darà le istruzioni perché tu dia gloria alla tua predestinazione.


In fondo alla lettera era disegnata una semplice cartina geografica che indicava un luogo tra le viuzze del centro. E il nome che dovevano chiedere.
Dopo un attimo di riflessione, Bertozzi disse:
- Credo che dovremo andare lì.
François e Laura protestarono. Il francese disse:
- Attento, Gabriele, potrebbe essere uno scherzo pericoloso del tipo di quello che ti hanno già fatto a Francavilla al Mare…
- No - rispose Bertozzi -. Ho la forte sensazione che si tratti di una straordinaria verità.


Who is Bertozzi?


- E chi è questo Bertozzi? - chiese il banchiere Peter Hymet.
- Un artista, un intellettuale… l’inventore dell’Inismo…
- Tutto ciò non mi dice niente - disse Hymet - : puoi dirmi qualcosa di concreto sulla sua vita?
- Bene. Si dice che abbia nelle sue vene sangue etrusco e che sia imparentato con famiglie nobili della Toscana come i marchesi Malaspina e i Conti Rosselmini. Un bisnonno, del quale gli piace dire che gli assomiglia più del padre e del nonno, ha combattuto come ufficiale nelle più importanti battaglie per l’indipendenza italiana: Montebello, Palestro, Magenta, San Martino, Solferino e la conquista di Roma - con la breccia di Porta Pia -, per la quale fu scomunicato (anche se poco dopo il papa stesso gliela tolse).
«Il nonno Aldo - che era avvocato - fu ufficiale e combattente nella prima guerra mondiale. Ricevette una medaglia al valore in Africa e fu convocato, da civile, a presiedere i processi giudiziari del dopo guerra.
«Del padre, sappiamo già che fu ufficiale a Mai Edagà (dove seppe della profezia della quale abbiamo già parlato).
Nella battaglia dell’Amba Alagi, fu fatto prigioniero dagli inglesi e inviato in un campo di concentramento ai piedi dell’Himalaya. Lì rimase per sei anni in frequente contatto con monaci buddisti e indiani - particolare che non dovremmo sottovalutare.
«Bertozzi, proprio il nostro Bertozzi - fin da giovane è un intellettuale di grande rilievo che presta il suo servizio militare come ufficiale paracadutista nell’esercito della sua patria. Fu uno degli aderenti al Lettrismo, movimento artistico d’avanguardia sorto nel dopo guerra, ma presto mostrò la sua indipendenza di giudizio, mettendone in discussione alcuni fondamenti basilari, per poi in seguito allontanarsi e fondare l’INIsmo.
- Che cos’è l’inismo? - interruppe Hymet.
- Bella domanda. E’ ciò che si chiede tanta gente: ma non è facile rispondere. Vi sono molte risposte, per esempio…
«Nato nel 1980 a Parigi, da un gruppo di artisti - per lo più scrittori e cineasti, si diffuse rapidamente nel mondo, non tanto sulla superficie ma in profondità, per la forza delle creazioni artistiche, in vari paesi distanti uno dall’altro come la Finlandia e l’Argentina.
«Possiedono una forza straordinaria dietro l’obiettivo di creare una nuova lingua che permetta all’umanità di progredire nella comprensione dei piani superiori della conoscenza e della percezione, a quel che dicono.
– Non capisco - disse il banchiere.
- Sì, non è facile da capire… disse a bassa voce l’antropologo che fino a quel momento spiegava - specie se uno ha dedicato la sua vita a lavori molto diversi, aggiunse con cortese cautela -. Ma è proprio perché utilizzano conoscenze non molto accessibili alla massa, che costituiscono ciò che nel linguaggio artistico si chiama avanguardia. E queste conoscenze difficili da capire, frutto dei loro approfondimenti e ricerche creative, non sono assolutamente necessarie per poter decifrare il contenuto segreto della pergamena.



5 ottobre 1995. Mái Edagá.



Laura e Bertozzi arrivarono a Mái Edagá alle due di notte. Faceva freddo, per fortuna l’autista trovò rapidamente il piccolo hotel dove avrebbero alloggiato durante la loro permanenza. Prima di entrare, Bertozzi baciò la terra che aveva sentito i suoi primi soni. Dormirono fino a mattina inoltrata e solo verso le due del pomeriggio uscirono per conoscere il paese. Camminarono per ore tra le viuzze polverose, tra centinaia di bancarelle che offrivano ogni sorta di prodotti, fermandosi di tanto in tanto per ammirare alcuni piccoli oggetti di artigianato locale tra l’abbondante offerta di oggetti giapponesi, cinesi o nordamericani.
Alle nove di sera, si resero conto che si erano dimenticati di mangiare. E lo fecero in una piccola trattoria, illuminata da lampade a petrolio appese alle pareti, e fu anche una porta aperta alle sorprese ogni volta che giocavano a scoprire gli ingredienti dell’appetitosa cena - scelta a caso giacché non conoscevano la lingua - che avevano ordinato.
Così passarono due giorni alla scoperta di quella cultura deliziosa e dei posti nascosti del luogo. Solo al terzo giorno si decisero a compiere quella missione che sembrava fosse voluta da tanti secoli.
Per tutto il tempo Bertozzi si era sentito in un modo come prima non gli era mai successo. Una specie di trasposizione del corpo in un piano extra terreno, in cui gli sembrava di volare invece di toccare terra con i piedi. E la sua emotività vibrava a fior di pelle, mettendolo spesso e senza una ragione apparente sull’orlo delle lacrime.
Questa sensazione andava intensificandosi man mano che si avvicinavano al posto indicato sulla cartina fino a diventare un’acuta oppressione nel petto tanto che a un certo momento indusse Laura a chiedergli se si sentisse bene; e lui fu sul punto di chiederle di ritornare rinunciando a quella strana avventura che all’improvviso gli causava un profondo senso di instabilità interna.
Ciononostante non disse niente e solo dopo un po’ disse:
- Sí, confesso che sono un po’ emozionato. Però è comprensibile, no?
Finalmente arrivarono al posto indicato. Era una botteguccia dove era esposto ogni tipo di indumento, dai bellissimi abiti arabi da donna, fino a quelli molto rifiniti da uomo, in stile occidentale. Una ragazza particolarmente bella andò loro incontro, senza capire quasi niente di quel che dicevano, ma i suoi occhi si illuminarono quando le dissero che cercavano il dottor Al Alhazred. Un uomo scuro con gran baffi neri che era rimasto in silenzio dietro alla cassa, si avvicinò e in un italiano accettabile domandò i loro nomi. Dopo che glieli ebbero detti, parlò un po’ con la ragazza nella loro lingua e subito questa andò nel retro oltre una pesante tenda.
Bertozzi e Laura si intrattennero osservando le ricche stoffe esposte, appese con grazia a piccole stampelle di legno a loro volta appese al soffitto. Dopo venti minuti - ventiquattro per l’esattezza, osservò Bertozzi - la ragazza tornò dicendo che il dottor Alhazred li attendeva nel suo studio privato. L’uomo che parlava italiano disse loro che li avrebbe condotti lei.
Da un corridoio molto illuminato da luci al neon, dove si vedevano ritratti di uomini e donne appesi alle pareti, attraverso una vecchia porta passarono a un altro che, benché fosse della stessa grandezza sembrava più angusto. L’impressione era data dalle piccole lampade a olio, che distanti più o meno tra loro circa tre metri, constituivano l’unica illuminazione del passagio. Sotto quel bagliore morente, le rugosità dell’intonaco si evidenziavano drammaticamente; gli europei notarono che non vi era alcun addobbo se non piccoli segni che sembravano dipinti col pennello, proprio a metà tra una lampada e l’altra, vale a dire, proprio dove la luce era insufficiente per vederli con una certa chiarezza.
Arrivarono a una porta angusta che terminava ad arco, e dopo aver oltrepassato alcune tende si trovarono in uno studio immenso, zeppo di libri e oggetti antichi, da dove oltre le finestre aperte, attraverso le tende trasparenti mosse ritmicamente dalla brezza, si potevano scorgere le belle palme che sembravano essere l’unica compagnia di un antico palazzo di uno stile precedente a quello mussulmano, oltre il quale vi era solo il deserto.
L’uomo che li attendeva sorridente dietro l’ampia scrivania sembrava molto giovane, e i suoi lineamenti avrebbero potuto essere benissimo quelli di un francese, di uno spagnolo o di un italiano. L’impressione era accentuata dai vestiti: portava un leggero sweter bordeaux, su una camicia di un celeste molto pallido, e quando in seguito durante la conversazione si alzò da dietro la scrivania per muoversi un po’, poterono verificare che portava anche jeans curati e mocassini di pelle naturale. Dopo averli salutati in un perfetto italiano, si presentò come «Abdul Al Alhazred, dottore in economia e commercio… ».
- La sua professione è… - chiese Bertozzi, sorpreso giacché si aspettava di incontrare un egittologo o uno studioso di scienze occulte o qualcosa di simile.
- Economista, disse l’uomo. Lavoro per il governo, nel campo della pianificazione. Abitualmente non risiedo a Mái Edagá, ma ad Addis Ababa. Sono venuto ora, soltanto per aspettarvi…
- Allora sapeva del nostro arrivo… - disse Bertozzi.
- Lo sapevamo - rispose l’uomo.
- Allora sa anche la storia della pergamena di suo nonno… - disse Bertozzi, a mezza voce.
- So tutto della pergamena… della mia pergamena, non quella di mio nonno… - rispose sorridendo l’etiope -: Io sono Abdul Al Alhazred… non suo nipote.
- Ma mio padre lo vide nel 1945… e aveva circa settant’anni, secondo la sua descrizione… e lei non deve averne più di trenta…
L’uomo rimase in silenzio, alcuni secondi, come chi pensa a quel che deve dire.
- Non è semplice spiegare ciò che siamo - perché è esprimibile solo con referenze non accettate dalla nostra ragione - disse alla fine. Voi e io, siamo in realtà molto vecchi… solo che nel mio caso personale mi è stata data la non molto facile responsabilità della coscienza permanente nel piano fisico… Ma voi siete proprio quelli che, per mia fortuna, dovrete liberarmi da questo compito con in più la gioia di aver compiuto la mia missione. Tornando al mio aspetto: posso presentarmi nel modo in cui desidero, vecchio o giovane, drago o animale, con l’unica limitazione del sesso, perché mi fu concessa solo una energia maschile. Questi piccoli trucchi li ho imparati nei duemila anni di esistenza che mi porto dietro…
- Lei ha vissuto duemila anni? domandò Laura.
- Ho vissuto per tutto questo tempo sulla terra, a causa di questa delicata missione… ma per favore, sedetevi… gradite un caffè?
Dopo essersi seduti, e dopo che una svelta fanciulla in shador ebbe servito loro un caffè denso e squisito in preziose tazzine, ascoltarono la storia vera e completa della pergamena… che erroneamente chiamavano « di Mái Edagá», ma che da allora dovevano chiamare «di Qumrán».
Ecco il racconto di Alhazred: «Durante gli ultimi anni del regno di Giovanni Hircano, il santo pellegrino Menahem vide che Erode sarebbe stato un grande re, e il suo governo avrebbe rafforzato Israele.
«Il suo cuore gemello, il nostro fratello e sacerdote Qohelet, disse che per gli eseni era arrivato il momento di agire. In accordo con ciò che sembrava una seria interpretazione delle Scritture, i tempi attesi del Messia grande e portentoso, erano arrivati… secondo la valutazione del nostro sacerdote, il figlio di Antipatro era chiaramente quello chiamato a restituire la gloria al popolo di Israele.
«Era ovvio che per questo, prima o poi si sarebbe visto obbligato a espellere i romani, i greci e gli altri popoli empi e degenerati, come quelli che dalla Siria e dal Nord Est dispiegavano i loro influssi perversi sulla razza superiore dei veri semiti di Israele.
«Non importò che Erode, appena incoronato, si fosse sottomesso a Marc'Antonio, il quale lo aveva fatto proclamare rex amicus et socius populi romani dal senato. E nemmeno il suo matrimonio con Marianna, la figlia del Sommo Sacerdote fariseo, traditore della causa di Israele, né l’orrenda strage di quarantacinque membri del Sinedrio che il giovane re aveva ordinato per consolidarsi. Al contrario, a Qohelet - che era ossessionato dalla sua illusione - quelle aberrazioni sembrarono prove dell’astuzia e fermezza che si convengono a un buon capo.
« Così è che, per la prima volta, si decise a concepire un oggetto straordinario la cui formula segreta - appresa non senza innumerevoli raccomandazioni da un antenato recabita che a sua volta l'aveva avuta da un Ebdemelec Etiope - era rimasta nella sua mente fino ad allora in astratto. Come si vede, il circolo iniziale si chiude.
«Qohelet si decise a ricostruire la Parola segreta scoperta sembra durante il regno di Nabucodonosor, da Ebdemelec e i recabiti.
«Questa Parola era la concentrazione cardinale di energia, la quintessenza della materia, uno dei quattro atomi elementari dell’Universo e conteneva, in sé, la particella infinitesimale dell’umidità e del fuoco, della sonorità e del silenzio, del sensibile e dell’invisibile, capace di suscitare, con la sua alchimia, tutte le forme della materia, di trasformarle o disintegrarle.
«Qohelet decise di rendere attiva questa conoscenza, per metterla al servizio del suo re, giacché era convinto che egli avrebbe reso possibile ciò che aveva annunciato Abdias: I senza terra, questo esercito dei Figli di Israele, erediteranno ciò che appartenne ai cananei… e le città del Negueb… usciranno vittoriose, fino al monte Sion per governare da lì…
« Per quaranta giorni e quaranta notti Qohelet digiunò, fece penitenza, si coprì con un saio e cosparse di cenere i capelli già grigi, poiché non si riteneva degno dell’immensa responsabilità che gli era stata data. Solo dopo lunghissime invoazioni durante le quali si vide circondato da ogni sorta di esseri indescrivibili, e in uno stato in cui quasi non toccava terra con i piedi, prese tra le mani la pelle purificata. Questa era stata riposta in una scatola d’oro per tantissimi anni, ma si era conservata assolutamente incorrotta. Lo spirito guidò il suo tratto con mano ferma e pennello sicuro, per disegnare le nove lettere che conosceva nei minimi particolari, ma che fino a quel momento non aveva mai osato suscitare. Dopo, con labbra tremanti si mise a cantarle articolando nella forma indicata e con la melodia necessaria la loro pronuncia.
«Ma non successe niente. Il tentativo era fallito.
«Disperato, per lunghi giorni Qohelet frugò e rifrugò nei rotoli cercando le spiegazioni che già sapeva non avrebbe trovato: era una formula segreta; nessun saggio, se l’avesse intuita, l’avrebbe consegnata per iscritto. Fino a che, alla fine, osò fare qualcosa di abominevole.
«Tracciando per terra con un gesso nero una stella invertita, invocò Asmodeo, il demonio maledetto, istruttore di tutte le scienze proibite agli umani.
«Con una risata interminabile, il demonio gli diede dello scemo… Ma non sapeva che tutte le cose nell’universo possedevano un polo positivo e uno negativo? Ebdemelec e i recabiti avevano ingannato i suoi predecessori, lasciando loro solo una parte del sapere perché la sua presenza fosse simbolica, con l'unico scopo che non se ne perdesse memoria tra gli uomini. Era impossibile far funzionare la pergamena senza la partecipazione di una donna.
«Questo insegnamento costò a Qohelet l’obbligo di servire Asmodeo per cinquemila anni. Ma si consolò dicendosi - artifici dell’intelletto - che sicuramente sarebbe stato liberato da lui dal suo Messia, quando si sarebbe impadronito del vero Potere.
«Qohelet doveva allora cercare la donna; e senza perder tempo, si mise all’opera. Alcuni misteriosi suggerimenti di Asmodeo lo portarono a Partia dove, dopo scrupolose ricerche credette di averla trovata.
«Ma prima di bussare alla sua porta, mio padre - sì, mio padre, che era stato il suo migliore amico e lo accompagnava -, lo uccise.
«Mio padre, che era anche lui un santo, si era reso conto della tremenda contraddizione in cui stava incorrendo Qohelet. Com'era possibile affidare a un terribile dittatore e assassino come Erode le facoltà di un Dio, e pensare che le avrebbe usate per il bene? Come si poteva invocare uno dei peggiori demoni e credere che anche così si stesse servendo il Signore?
«Una volta sola mio padre affondò il pugnale nella nuca di Qohelet, per inviarlo dal suo attuale padrone Asmodeo, e recuperò così la pergamena, con la volontà di purificarsi e distruggerla.
«Ma al ritorno, giunto nella sua caverna di Qumrán, una terribile malattia immobilizzò le sue membra tanto da poter muovere appena le mani per i movimenti più essenziali.
«Fu allora che mi chiamò, giacché vivevo a quel tempo con mia madre a Gerusalemme. Avevo 14 anni e avevo cominciato gli esercizi purificatori con il proposito di iniziarmi al Servizio del Tempio.
«Però mio padre mi disse che gli era apparso un angelo e gli aveva consegnato una boccetta con una pozione che dovevo prendere per protrarre la permanenza del mio corpo qui in terra.
«Avrei dovuto conservare il mio corpo e la coscienza per alcune centinaia di anni, forse, per compiere la missione che stava per affidarmi.
«Era stata commessa una profanazione inaudita, e si poteva risanare unicamente restituendo il potente pezzo che era stato concepito inopportunamente all’unico che avrebbe potuto dissolverla o dargli senso: il Venerabile, Altruista Ingegnere di tutta la Creazione.
«La pergamena era indistruttibile con i mezzi umani. Anzi, qualsiasi tentativo in quel senso avrebbe prodotto catastrofi imprevedibili nell’ambito cosmico e terrestre, se lo si effettuava.
«Per questo, l’unica cosa da farsi era preservarlo fino al momento opportuno, quando sarebbe giunto chi avrebbe saputo come agire.
«Intanto, la missione che mi affidava era:
«1) Dividerlo in due, esattamente dopo la quinta lettera.
«2) Trovare la donna che, analogamente alla mia esistenza, doveva diventare immortale e nel contempo conservare la parte negativa della pergamena finché fosse arrivata l’occasione di consegnarla a chi sarebbe giunto per porre fine alla missione.
«Insieme, la donna e io, avremmo potuto - eventualmente - provare con successo di porre in funzione il Potere concesso alla pelle di capra. Ma il castigo che avremmo attirato sulle nostre anime con simile condotta, sarebbe stato così orrendo, che persino l’angelo ammutoliva rabbrividendo al solo immaginarlo».
Bertozzi si mosse per la prima volta sulla sedia e accavallò le gambe. Ma presto abbandonò quella posizione, perché ricordò che gli arabi considerano tale attitudine un'offesa. Questo fece sorridere Abdul Alhazred, che gli disse:
- No, stia comodo se lo desidera, questa cosa da nulla non potrebbe dar fastidio a me!…
- Mi scusi, mi scusi! - esclamò Bertozzi - Ho interrotto i suo racconto!
- Bene - disse dolcemente Alhazred -. Stiamo arrivando al culmine.
«Mi ci son voluti ventidue anni e sei mesi per incontrare la donna - che non era quella che aveva trovato Qohelet. Viveva a Ctesifone, si chiamava Hillen Fraates, aveva 23 anni (vale a dire che era appena iniziata la sua vita quando mi fu affidato questo compito) ed era discendente di un re.
«Capì meravigliosamente il suo ruolo - era stata istruita per quello - e con prontezza accettò.
«Le affidai la sua parte, la scatola d’oro con le cinque lettere. E da allora non la vidi mai più».
- Non l’ha mai più incontrata dopo? - chiese Laura.
- Forse - rispose Abdul al Alhazred - . Voglio dire che non la riconobbi. Sapete già che noi, tanto lei che io, abbiamo la facoltà di assumere diversi aspetti, per fare con maggior efficienza il nostro lavoro e rendere meno opprimente l’attesa del momento della nostra liberazione.




Seconda parte





Lucerna, 8 ottobre 1995.



- Dopo la sua fondazione a Parigi, nel 1980, l’Inismo si diffuse rapidamente in altri paesi… - lesse la segretaria sul monitor del computer. Si tolse le scarpe e, alzando una gamba per appoggiarla sulla sedia, strofinò distrattamente le dita di un piede con l’intento di riscaldarle.
- Fin quasi dalle origini, Bertozzi e Laura Aga-Rossi erano in corrispondenza con argentini, e un professore universitario diede impulso all’Inismo negli Stati Uniti dal 1982…
Camminando scalza sul tappeto la bella ragazza accese la radio. Si sintonizzò su un concerto degli Skorpion e tornò al lavoro.
- Un gruppo di spagnoli si aggregò verso il 1985; subito, con la loro grande attività, diventano i più importanti motori di questo movimento in lingua spagnola… Negli anni seguenti, si formano gruppi inisti in Portogallo, Cuba, Brasile e Finlandia…
Ogni tanto organizzano un incontro internazionale - il più recente è stato L’idea di visionario all’Università di Pescara - e pubblicano una rivista molto importante che si chiama Bérénice…
- Non c’è altro - pensò ad alta voce Marietta, facendo una smorfia. Questo non soddisferà Peter Hymet. Lui cerca dati sul modo in cui alchimizzano i loro fonemi e i loro codici segreti, e non la storia del movimento… Forse dovrei diventare amica di uno di loro per ottenerli… già! perché no? Può essere divertente!




Riad, 17 ottobre 1995.



- Nell’anno 656, un gruppo di nobili appartenenti all’esercito mussulmano egiziano, arrivò a Medina con il proposito di assassinare il re - disse Bertozzi. Alla radio si sentiva una registrazione abbastanza accettabile, in arabo, di El día que me quieras, di Carlos Gardel. - Regnava Utman, cognato di Mahoma e membro dell’influente famiglia coraicita@@ della Mecca. A quei tempi, l’impero islamico era cresciuto già abbastanza: i suoi generali governavano gran parte dell’Asia Minore e Bisanzio, fino a Bactria, Kabul e Ghazni.
«Però il pericolo che incombeva sul governo veniva proprio dai suoi nobili che avevano acquisito troppe raffinatezze e potere. Si stava formando una seconda generazione urbana che sorgeva tra i divertimenti e il lusso di Alessandria, Damasco e Ctesifone, e le città-caserma di Bassa e Kufa. Erano giovani cresciuti nel lusso e nel potere assoluto e nessun limite li frenava.
«La politica, il potere e il prestigio erano diventati fini a se stessi, e Utman - uomo dai modi delicati e benevolo, che era stato amico intimo del Profeta - sembrava poco indicato per sottomettere tante passioni, come quelle che ribollivano tra i nobili».
In quel momento squillò il telefono. Laura rispose.
- Patricia - disse.
- Ho parlato con il nostro amico argentino - raccontò Patricia quando Bertozzi prese il ricevitore - Da parte sua sta lavorando molto intensamente -. Patricia era proprio entusiasta: - Mi sembra che la nostra tesi sarà un successo fenomenale.
Gli inisti preparavano una tesi collettiva su Il linguaggio contemporaneo per presentarla al XXVIII Congresso Internazionale di Linguistica che si sarebbe realizzato a Carisbad, California, nel luglio del 1997.
- Bene - disse Bertozzi, dopo aver commentato ancora un po’ le novità che aveva riferito Patricia -, ti interessa continuare con Utman?
- Evidentemente per te è molto importante - rispose Laura -
- Lo è. Vedrai subito il perché.
«I giovani generali ribelli, dopo essersi presentati al re e averlo offeso con accuse di malgoverno, decisero di abbatterlo. Per questo assediarono le caserme con forze potentissime. Un infiltrato permise loro di scoprire che Utman - che sembrava già disposto ad abdicare - in realtà stava solo guadagnando tempo per permettere l’arrivo a Medina di Muawiya, governatore della Siria, che andava a difenderlo. I regicidi, allora, presero d’assalto il palazzo. Trovarono il califfo rassegnato alla sua sorte che leggeva il Corano. Abdallah, figlio di Abu Bakr - che fu il primo califfo - fu colui che inflisse il primo colpo…
Dopo di ciò Bertozzi rimase in silenzio.
- Ebbene? - domandò Laura.
- Ebbene - sillabò dolcemente Bertozzi. Ascolta ciò che racconta Shapur Mukdiseh, storiografo dell’XI secolo sull’evento:
«Quando il re vide entrare i nobili armati, con il male dipinto negli occhi, volle fuggire, spaventato. Ma al suo fianco c’era Hillén, la bella sacerdotessa straniera, che mettendosi davanti agli assassini, li fermò con la sua autorità, e ordinò che si permettesse loro di pregare da soli prima di compiere il fatale proposito. Si dice che quando Abdallah e i suoi amici alla fine entrarono, la sacerdotessa, trasformatasi in uccello, volò attraverso la finestra; il re, sembrava dormisse, e nell’affondare i pugnali nel suo corpo, gli assassini sentirono che nessun’anima ormai abitava quella parvenza. Il regicidio fu allora, a quanto sembra, un mero atto simbolico, giacché l’anima di Utman si innalzava già verso il cielo. Si dice anche che quella stessa notte la videro volare, presa dalla mano di Hillén, sulle cupole della Mecca, come se fossero due graziosi e trasparenti fantasmi».
- Hillen Fraates - disse Laura.
- Sì -, rispose Bertozzi, dubbioso -. Sono leggende, è vero. Ma guarda che coincidenza suggestiva.





Parigi, novembre 1995.



Flavio Donnini uscì deciso dall’edificio, immerso nei suoi pensieri, ma dovette tornare indietro. Pioveva; le luci del boulevard baluginavano con un bagliore azzurrognolo, formando nell’aria intrecci iridescenti sui molteplici scintillii delle macchine e degli ombrelli nel crepuscolo.
Flavio aveva la mente piena di figure, colori, suoni, frammenti di parole. Usciva da una seduta di cinema e da una conversazione con Lemaître e, come sempre, era stata un'esperienza molto intensa. Vide un taxi, gli fece cenno e corse fino al marciapiede dove si fermò. Mentre stava per salire, urtò con un altro fianco e si spostò un po’, sorpreso. Una graziosa biondina, sui ventitre anni, aveva cercato di salire anche lei … da dove era saltata fuori?
- Scusa - disse Flavio.
- L’ho chiamato io per prima - disse seria la ragazza.
- Va bene - rispose lui -. Nessun problema, ne aspetterò un altro…
- Ma potremmo prenderlo insieme - disse lei conciliante mentre saliva mostrando le belle gambe;
- Dove vai? In realtà Flavio non aveva ancora deciso dove andare… meccanicamente diede l’indirizzo di Giovanni Agresti.
- Anch’io vado da quella parte! - esclamò la biondina - Ma, presto, sali, ti stai bagnando!…





Pescara, novembre 1995.



- Crede nella reincarnazione, professore? - chiese una studentessa del corso di Letteratura Francese.
Avevano parlato della testimonianza di Marcel Schwab che durante una conversazione era rimasto sorpreso dal modo in cui lo scrittore descriveva un episodio egiziano, accaduto circa 1200 anni prima di Cristo, come se lo avesse vissuto lui stesso. Schwab aveva parlato della battaglia del 1229 vinta da Mernepta contro gli israeliti, descrivendo la stele situata nel luogo con una tal profusione di particolari che il suo amico - che era un egittologo e sapeva che tutti quei dettagli non figuravano in alcun libro - era rimasto ammutolito per lo stupore.
François Proïa pensò molto prima di rispondere.
- Non lo so… - disse alla fine -. Vale a dire, non potrei affermarlo con sicurezza… Bertozzi dice che lui e Maurice Lemaître erano amici anche nell’antico Egitto durante la XX Dinastia…
« Non solo impiastricciavamo papiri e tavolette, ma decoravamo anche sarcofaghi, templi e piramidi… Lasciammo i nostri segni ovunque, ma, così come oggi, solo alcuni eletti sapevano leggere la nostra scrittura-disegno… per questo, puoi immaginarti cosa accadde quando fummo destinati (io almeno) alla musica, alla simultaneità e ad altri lavori canonici!»
- Questo lo dice Bertozzi, in una intervista. E sembra dirlo seriamente, e più in là aggiunge: «Nonostante la religione ci separasse (con Lemaître); lui credeva in uno strano dio dell’Est, che si chiamava, credo, Isid Ison (nonostante la sonorità del nome, non aveva nulla a che vedere con Iside), e io ero un devoto di Ini-a ef, che innalzava allo stesso modo l’etica e l’estetica. Eravamo ancora insieme quando, vicino a Tarquinia, un dio fanciullo che apparve nel solco di un campo, ci concesse il dono di una nuova scrittura che in seguito arricchimmo e impiegammo in modo sistematico. Però anche queste opere continuarono a essere misteriose fino a oggi…
- Allora Bertozzi sarebbe vissuto fino a circa quattromila anni fa? domandò la ragazza con gli occhiali che aveva iniziato il dialogo.
- Precisamente - rispose François Proïa -. Di certo v’è una teoria che, sulla frequenza delle nostre reincarnazioni, sostiene che accadono ogni mille anni… una volta come donna, un’altra come uomo… in accordo con questo, chiaramente Bertozzi potrebbe ben essere stato ancora uomo, circa quattromila anni fa…
- Permette? - disse un giovane biondo dall’accento straniero seduto nelle ultime file.
- Sì - rispose François Proïa.
- Desidero raccontare un aneddoto che riguarda Shakespeare…
- Dica pure - consentì il professore.
Si dice che Shakespeare sia stato influenzato da un alto iniziato delle Scienze Occulte, e che fu proprio lui a infondere le sue conoscenze a Roger Bacon e Jacob Boheme…
- Chi lo dice? - chiese François Proïa.
- Beh… Gaetano Bianchi, un compilatore del XVIII secolo… rispose il ragazzo.
- Ebbene?
- Ma ciò che ci interessa, credo, è che alcuni anni dopo visse in Germania un poeta che scrisse alcune poesie molto strane… Chi le lesse, afferma che quelle poesie, lette con le chiavi giuste, in molti passaggi riproducevano fatti della vita più intima di Shakespeare. Una, ad esempio, diceva - dopo essere stata decifrata -... ora mi chiamano Jacobo Baldus, ma il mio nome precedente, dall’altra parte del lago, fu Guglielmo, / e mi esprimevo sia nella tragedia, sia nella commedia, sia nel dramma, / come ora il mio linguaggio… è la poesia, ma tanto allora come ora sono la scintilla dello stesso essere immortale.





Firenze (Palazzo Pitti), 23 dicembre 1995.



- Questa esposizione rappresenta un importante riconoscimento per gli inisti - disse lo scrittore Attilio Silvestrini.
- Non necessariamente - rispose col suo tono calmo ma sempre un po' acido e ironico Poli Gracenza ( giornalista di Flash Art). Nota che nella storia quando le avanguardie cominciano ad arrivare nei musei ufficiali, in genere sono già morte.
«Ma tu sai - continuò col suo tono strascicato - che non ho mai creduto che tutto questo fosse avanguardia, né che ciò che è esposto possa qualificarsi come “arte”.
- Mi sembra che estremizzi le tue posizioni ideologiche - affermò Silvestrini. Stava parlando con il giovane giornalista nella Galleria di Arte Moderna che era stata ceduta per una mostra inista. La sala brulicava di gente.
- Amico mio, le ultime avanguardie morirono con i beatnik. Da allora ogni desiderio di portare qualche innovazione nelle arti, con quadri appesi alle pareti , è intento vano. Il resto è morto. O è agonizzante.
- Scusa, sei troppo fissato con la morte, caro Poli… l'hai già nominata tre volte, nel breve tempo della nostra conversazione - fece notare lo scrittore.
- E' che fa parte, bellamente, del mondo in cui viviamo, caro Attilio… La civiltà industriale prima, quella tecnologica poi, hanno ucciso a poco a poco le relazioni sociali, la produzione di opere d'arte; sistematizzandole e incorporandole in un processo assolutamente prevedibile e convertendo le sue materie prime essenziali in rifiuti o elementi chimici, hanno tramutato l'80% del modo civilizzato in un immenso cimitero.
- Insisto nel dire che guardi le cose con molto pessimismo, mio caro… - ribattè Silvestrini. Al contrario, credo che questa esposizione inista sia una testimonianza di vita… Guarda, guarda questo quadro di Angelo Merante…
Poli lo guardò con indifferenza.
- Ebbene? - disse.
- Ascolta… puoi riconoscere un'opera d'arte dalle sue vibrazioni intrinseche… qui c'è armonia, ritmo, colore e drammaticità, ma soprattutto, quella congiunzione di vibrazioni interne raggiunte dagli elementi che forse sarebbero percepibili solo al microscopio, quell'unità e moto interno che suggeriscono allo spettatore una pluralità di sentimenti, portandolo a partecipare attivamente all'opera… Precisamente la funzione dell'arte!
- Il tuo entusiasmo mi sembra eccessivo… da parte mia percepisco solo una ingegnosa artigianale combinazione di lettere, colori e sì, certamente vi è armonia, però non lo trovo del livello che tu gli attribuisci…
«Anche così - aggiunse, apparentemente conciliante -, supponendo che individualmente Angelo Merante abbia la statura di un pittore… come si inserisce in questo caos di manifestazioni diverse, che potremmo chiamare, prima «movimento» e poi «avanguardia»? Guarda, guarda! Qui disegni con influssi surrealisti, là, manoscritti, più in là figurine manipolate al computer… e anche film, opere teatrali, manifesti contraddittori tra loro… insomma… che caspita è l'Inismo?


L'Inismo è essenzialmente conservatore - disse Penny Wallfisch, contenta di aver incontrato qualcuno di lingua inglese con il quale conversare. Lex Lœb era un po' stanco - era arrivato dagli Stati Uniti la mattina stessa, giusto in tempo per partecipare all'inaugurazione. La professoressa inglese sciorinò la sua teoria:
- Se riflettiamo sull'Opera Magna di Bertozzi in letteratura, La Signora Proteo, e sugli altri segni presenti in tutte le opere dell'Inismo, vedremo che, essenzialmente, è un movimento conservatore.
«Che altro propone La Signora Proteo, se non restituire al mondo il significato della sua esistenza? A partire dalla prova che l'umanità ne ha perso il senso, La Signora Proteo indica, allora, che la missione dei restauratori - un'avanguardia illuminata - è ridare il senso alla storia, riprendendo il filo proprio lì dove è stato sfilacciato, e generando un linguaggio nuovo, è vero, ma basato realmente su una simbologia molto antica, come sono i geroglifici, e quella vocazione indagatrice per recuperare un linguaggio universale.
- L'idea mi piace - rispose Lex Lœb - ma io mi sento “molto moderno”.
- E' che l'idea di «conservatore» non implica una negazione della modernità né necessariamente quella di «controrivoluzione» - insistette la bella professoressa che doveva avere circa quarantadue anni - secondo i calcoli del nordamericano.
In quel momento Paul Lambert - altro inista nordamericano - si avvicinò con la sua macchina fotografica.
- Poso fare qualche foto? - domandò
Gli risposero di sì, e così attivò il dispositiv automatico che cominciò a scattare con gran velocità mentre l'alto artista di Portland sventagliava l'obiettivo dell'apparecchio.
- Guarda - disse Penny Wallfisch - i Maccabei erano rivoluzionari perché si opponevano alla dominazione dell'imperialismo greco che rappresentava lo status quo@@ politico di quel momento… ma nel contempo erano profondamente conservatori nella loro ideologia… Lottavano per restaurare i costumi e la cultura degli israeliti, soggiogati da un «modernismo» senza sostanza…
- Giacché hai nominato i Maccabei - mormorò Lex Lœb - Sapevi che Bertozzi possiede una pergamena antica, di quell'epoca, con segni stranissimi, perché sembrano inisti? (nello stesso momento però si pentì di aver parlato: si chiese se non stesse rivelando un segreto dell'Inismo, che per giunta poteva mettere in pericolo l'integrità fisica di Bertozzi).
- Ah sì? - rispose l'inglese -. Spero che lo abbia fatto esaminare da un archeologo responsabile… Sai che ne hanno falsificate centinaia di queste reliquie negli ultimi secoli…
Lex Lœb respirò sollevato. Sembrava che la raffinata storica d'arte non avesse captato l'importanza della rivelazione che aveva appena udito.


Ma che cosa è l'Inismo? - domandò Marietta Korngold, mentre contemplava l'«Uomo con gli occhi grigi» di Tiziano. Flavio Donnini guardò pazientemente la sua amica svizzera e dopo un breve silenzio le rispose.
- Non è molto facile da definire…
- Va bene, ma deve pur esserci una definizione… - insistette Marietta -: ogni cosa ce l'ha…
- Dici bene - replicò Flavio - «le cose ce l'hanno», perché sono elementi immobili. Ma l'Inismo è qualcosa di vivo, in costante movimento e trasformazione… e non si può definire qualcosa la cui caratteristica essenziale è questo permanente rinnovamento…
- Guarda Flavio, io posso dire con chiarezza qualcosa sull'Impressionismo, Cubismo, Surrealismo… posso dare una definizione… e anche quelli furono movimenti vivi, credo - aggiunse Marietta.
- “Furono” hai detto. Perché non lo sono più. Non sono più “movimenti vivi”. Mentre l'Inismo consiste, come ti ho appena detto, essenzialmente in questo: vita, materia e spirito in movimento. Ma oltre a movimento è energia e sostanza trascendentale…
- Ho letto in uno dei vostri scritti che aspirano a creare forme tridimensionali… ha qualcosa a che vedere con l'alchimia?
- Già è vero. Il processo alchemico ebbe sempre una base essenzialmente artistica nelle sue operazioni. La creazione della pietra filosofale comincia insieme con il processo artistico, e continua dopo attraverso strumenti esterni…
- E' per questo, allora, che Bertozzi dà tanta importanza a quella pergamena etiope che possiede?…
Flavio rimase senza fiato. Nel rendersi conto che aveva parlato troppo, anche la bella ragazza si zittì. Per dieci lunghi secondi ci fu tra i due un silenzio imbarazzante.
- Come sai della pergamena? - domandò alla fine Flavio, cercando di nascondere il suo nervosismo.
- Beh, tutti sanno che Bertozzi colleziona pergamene antiche… o no? Credo di averlo letto in un'intervista che tu stesso mi hai dato, o no? - balbettò la giovane svizzera.
Ma Flavio si mise in guardia. Stava succedendo qualcosa di strano con quella ragazza. Che cosa cercava in realtà? Si vestiva con studiata trascuratezza, ma era evidente che apparteneva a un settore frivolo della società. Cercava di sembrare un'intellettuale, ma le sue numerose carenze culturali la denunciavano appena si iniziava a parlare di qualche cosa di impegnativo. E adesso questa domanda sulla pergamena… Chi era quella giovane inquisitrice? E a chi riferiva?


Una moltitudine variegata si spandeva con movimenti lenti al secondo piano di Palazzo Pitti. Ragazze in minigonna o con lunghe gonne zingaresche, uomini brizzolati o giovani capelluti, intellettuali di ogni tipo e artisti si alternavano guardando le opere iniste o semplicemente dialogando nel vasto salone centrale.
Un uomo ancora giovane, vestito di nero con il cappello caratteristico dei sefarditi si fece strada fra la gente dirigendosi verso Bertozzi. Ai due lati della nuca scendevano un paio di trecce fatte con i suoi capelli neri; la barba pure molto nera, gli copriva quasi tutto il viso scendendo fin sul petto.
Quando riuscì ad avvicinare Bertozzi, che parlava in francese con un gruppo di accademici, gli toccò dolcemente una spalla e si presentò:
- Sono il rabbino Ebdemelec Bar Thizbà… devo parlare urgentemente con lei… possiamo appartarci… per favore?


- Cos'è l'Inismo? - domandò la graziosa fanciulla inchiodando su François Proïa gli occhi azzurri. Accanto a François sua madre, anziana, vestita di scuro, meditava, mentre intorno a lei scorrevano come una corrente d'acqua decine di persone, osservando i quadri, le sculture, i libri oggetto. Su una parete laterale, un immenso schermo in 3D proiettava un intrigante film realizzato da un nordamericano.
- Cos'è l'Inismo? - insistette la ragazza facendo le fusa.
- François contemplò il colore incredibile di quegli occhi, i capelli lisci color mogano antico che scendevano su un collo e una pelle alla Modigliani, le mani grandi, posate con dolcezza inusuale sul catalogo verde scuro, per rispondere:
- E me lo chiedi?… Inismo… Inismo… tu sei l'Inismo!*


Francisco Juan Molero Prior si muoveva tra la gente come un pesce nell'acqua. Era scoppiettante, parlava un po' con i francesi per poi passare al gruppo nordamericano; da lì agli italiani - come per recuperare energie - ma dopo osava parlare anche con i finlandesi… ma sempre in spagnolo!
Francisco era uno dei creatori inisti più simpatici. Apprezzato da tutti, era riuscito a dare impulso a un grande movimento in Spagna, ed era merito suo e della sua immensa capacità organizzatrice la comparsa di centri inisti in Brasile e a Cuba.
Una serie di quadri di varie tecniche ma di grande forza, quadri-poesie, inigrafie, di origine spagnola, cubana, portoghese e brasiliana erano appesi alle pareti e attiravano l'attenzione dei visitatori.
Molero Prior era contento. L'Inismo aveva ottenuto, con quell'esposizione, un riconoscimento pubblico molto importante.


- Credo nell'arte - disse Antonio Gasbarrini -; credo, come ti dicevo, che l'arte debba essere il veicolo per recuperare le dimensioni etico spirituali (ancora compresse) nel corpo mutilato di un Bacon, per esempio…
- Sicuramente la rappresentazione più alta del parossismo schizofrenico delle scienze e filosofie del XX secolo… - intervenne Nicola D'Antuono.
- La difficile relazione tra arte e scienza… - riflettè Gasbarrini -… che non deve sboccare nell'incesto… L'arte non è un mero complemento, svincolato dalla scienza, ma una tensione critica, nei confronti dei suoi problemi che fanno la vita stessa dell'umanità…
Furio De Mattia e Argentina Capriotti ascoltavano in silenzio. Angelo Merante disse:
- Certo, molto spesso l'arte anticipa la scienza… basti osservare le straordinarie coincidenze che si trovano tra molti quadri di Joan Miró e alcune fotografie prese con il microscopio nucleare, di particelle in fondo al mare… Il sorprendente è che quando i quadri del catalano furono dipinti, il microscopio nucleare non esisteva ancora…
- La rete spazio temporale, modellata dall'energia dei campi elettromagnetici che riorganizzano, in particolare, ogni tema di immagini iconiche o a-iconiche@@, distrutte dalle avanguardie storiche, Futurismo, Dada e Surrealismo in particolare, e tratte ora a nuova vita dalla est-etica subatomica inista, è un chiaro esempio di ciò che dici - affermò Gasbarrini.
«Il genoma Bertozzi - continuò approfittando del fatto che le sue parole avevano suscitato aspettative in tutti gli astanti -, privilegiato erede di Arthur Rimbaud e delle avanguardie storiche, mantenendo ancora integre le istruzioni creative ricevute, si stacca da quelle, come ogni gene-genio che si rispetti, in modo radicale. In altri pochi inisti come in lui, il segno riesce a trasformarsi completamente in inia, in quella orchestrazione di pensieri e sentimenti, in quella molteplice visione globale che ci offre la realtà (organica e inorganica, visibile e invisibile) che ci permette di avvicinarci alle radici del mistero esistenziale e da questo a una verità probabile.
«Primigenia arcaicità e futuribile modernità, cortocircuito simbolico rituale avanguardista, sincretismo stilistico, contestuale sperimentabilità di tutti i generi espressivi fino a oggi conosciuti e di quelli ancora da inventare: queste sono le costanti poetiche (esoteriche, se vogliamo puntualizzare fino in fondo) dell'opera di Bertozzi, un artista esplosivo nella sua multiforme, eclettica, poliedrica, instancabile attività. Il saggio visionario bertozziano tende a ricomporre inisticamente ( e perciò in un ordine sensibile, superiore e innovatore) il déjà vu e il déjà pensé nel grembo, nel cuore e nel cervello-mente dell'avanguardia».


- Ho fatto un sogno abominevole - esclamò il rabbino tutto d'un fiato quando si fu appartato con Bertozzi. - Un sogno terrificante…
Il lider dell'Inismo si chiese cosa volesse dire, ma lo lasciò continuare.
- Io non la conoscevo prima di questo sogno - disse il rabbino. - Ma dopo essermi alzato e averla vista sul giornale, ho avuto la prova che esisteva realmente, e che stava facendo un'esposizione qui…
«Nel sogno una catastrofe immensa si abbatteva sulla terra… Lingue di fuoco uscivano dalle montagne, e una marea di acqua bollente inondava tutti i paesi della terra… i palazzi si aprivano e cadevano, e i monumenti maggori dell'umanità affondavano nel terreno che era diventato una enorme pozzanghera…
«Ma tra tutto quel terrore e isteria degli umani che correvano di qui e di là gridando atrocemente, vidi un uomo che avanzava imperterrito con due oggetti in mano…
«Quell'uomo era lei… Avanzava con alle spalle un cielo infuocato e gli occhi brillavano come fossero di una qualche strana pietra, e i capelli erano scomposti dal fumo sanguigno dell'incendio…
«Mi buttai a terra, terrorizzato, e la sola cosa che ricordo è che chiesi, prima si svenire:
«Chi sei?
«- Bertozzi - mi rispose - e allora vidi, come in un lampo, che portava due immense lettere di ferro, a me sconosciute, una per ogni mano.


Patricia Iezzi parlava animatamente con Lisiak-Land Díaz, Giovanni Agresti e Marinisa Bove, quando videro entrare Bertozzi molto assorto. Fecero una battuta quando passò ma sembrava che fosse in un altro mondo.
In quel momento si sentirono gli applausi, e la voce del “maestro di cerimonia” invitò gli astanti ad avvicinarsi al salone centrale. Stava per iniziare la fase musicale della mostra.
Un violino, una viola, un basso, una chitarra e un oboe cominciarono a diffondere le loro melodie.
Le voci, a poco a poco si quietarono. Il pubblico, placidamente si dispose ad ascoltare.
Come una bella serpe eterica, la melodia Gnossienne n. 1 di Erik Satie penetrò negli animi con lenta dolcezza.


* Qui l'autore fa riferimento alla poesia di Gustavo A. Bécquer «¿Qué es poesía?» (Rimas).




Roma, 26 dicembre 1996.



Mozart disse che il piano che gli era capitato aveva tre tasti intrecciati e non era sufficientemente accordato, ma la cosa certa è che perse la sfida con Clementi - affermò Bertozzi
«Si incontrarono all'inizio di gennaio del 1781, per la prima e ultima volta, nel palazzo dell'imperatore Giuseppe II d'Austria. Clementi avrebbe raccontato in seguito a uno dei suoi allievi che prima che gli fosse presentato, considerava Mozart come uno di quei figurini eccessivamente agghindati che pullulano nelle corti reali. Ma lo diceva affettuosamente perché Clementi non parlò mai male dei suoi avversari.
«Di contro Mozart non digerì mai che in quel confronto i più lo diedero per sconfitto. Clementi è un ciarlatano, come tutti gli italiani. Scrive ‘presto’ in una sonata o peggio ancora ‘prestissimo e alla breve’, e lui stesso la suona ‘allegro’ a compasso 4/4. L'unica cosa che fa bene sono i suoi passaggi in terza; ma ha sudato giorni e notti a Londra, lavorandoci sopra. A parte questo, non può fare niente, assolutamente niente, perché non ha la minima forza espressiva, gusto e meno ancora sentimento: questo dice Mozart di Clementi, tra altre ironie e offese, nonostante in varie occasioni Clementi parlasse di lui sempre con gran rispetto.
«Ma questa è proprio una caratteristica tedesca; se osservi la storia della musica, vedrai che gli inventori della Sinfonia (e dei fondamenti della musica classica) furono italiani: Scarlatti, Corelli, Bononcini, Albinoni, Stradella, Vivaldi. Ciononostante i tedeschi chiamano Haydn che si ispirò costantemente a loro, ‘il padre della sinfonia’. Ma torniamo a Clementi.»
- Posso fare una domanda? - disse Furio De Mattia.
- Certo!
- Qual è il nesso tra questo pianista e la pergamena?
- Bene, ora lo vedrai… se mi lascerete arrivare al punto attraverso una parte della sua storia.
- Oh certo! - rispose Furio - siamo qui per questo, o no?
Laura si servì una piccola dose di miele con pezzetti di noci, prendendola con un cucchiaino lungo da un vasetto posto sopra un tavolo da disegno.
- Clementi era un uomo integro e disciplinato. Aveva talento a anche senso dell'ordine e della pianificazione. Insomma era un uomo a tutto tondo… a differenza di Mozart la cui educazione artistica era stata molto severa, ma che nella vita era disordinato e passionale.
«Perché sottolineo questo?… per quanto segue: in un Diario intimo, esumato in parte dai discendenti di Clementi e pubblicato a Londra nel 1897, ho trovato un paragrafo interessantissimo. Si parla di qualcosa che nessuno menziona nelle sue biografie. Lo leggerò perché è essenziale» - assicurò Bertozzi.
Prendendo alcune fotocopie da una cartella, lesse:
- Wiltshire, 7 agosto 1771 (Clementi allora aveva 19 anni), aggiunse Bertozzi: Ieri abbiamo passato una serata straordinaria a Kentish, a casa di Lord Craven, dove eravamo stati invitati, come ho detto prima, con tre mesi di anticipo. Dopo le presentazioni abbiamo preso un aperitivo durante il quale abbiamo parlato, per conoscerci un po'. Assisteva all'incontro un gruppo di vicini influenti del posto. In seguito, naturalmente, fui invitato a suonare.
«Ma la cosa più importante accadde dopo il concerto. Fu allora che Lord Craven mi presentò quella donna, Lady Lunara, che non dimenticherò mai.
«Era alta e bella, di età indefinibile poiché sembrava fisicamente molto giovane e, nel contempo, matura per il modo in cui parlava. Se si spostava, con angelica fragilità da un posto all'altro della sala, non potevo fare a meno di seguirla, come un cagnolino, tanto mi sentivo attratto dalla sua irradiazione. particolare Mi parlò, in un discorso molto saggio ma con grande umiltà, della vita e della morte; del lavoro, della volontà, dell'arte, della saggezza e dei Grandi Esseri che dirigono dai piani invisibili la nostra evoluzione Mai avevo sentito parole tanto profonde da alcun mortale, ma la cosa più importante era che io sapevo che le ‘lezioni’ di quell'angelo dalle sembianze femminili, sarebbero state trascendentali per tutta la mia vita e anche - è bene scriverlo - per quando la mia vita fisica fosse finita.».
Bertozzi smise di leggere.
- Poi Clementi cerca di sintetizzare in alcune pagine ciò che la donna gli disse, idee che a sua volta l'editore taglia poiché le considera noiose per il lettore comune. Ma in sintesi sono consigli, in relazione (come dice lui) con la forma nella quale si deve vivere per accedere alla felicità possibile per un umano su questa terra. E ha fatto sì che Clementi la conseguisse: da figlio adottivo, passò a essere il miglior pianista d'Europa, l'unico che batté Mozart, poi ricco fabbricante di pianoforti per arrivare alla vecchiaia colmo di prestigio, affetto e possedimenti, dando concerti per i suoi amici fin negli ultimi anni della sua lunga vita.
«Ebbene, rispondiamo ora alla domanda di Furio: ‘cosa c'entra tutto questo con la pergamena’. La risposta potremo trovarla, credo, in quest’altro testo (devo avvertire che è solo un'ipotesi). Leggo:
«Lunara Fluctibus, discendente in linea diretta da antiche famiglie di Maidstone; di lei si diceva che avesse poteri paranormali, e correva voce che possedesse un'antica pergamena egizia, chiusa in un cofanetto d'oro, che la dotava della capacità di trasformare gli oggetti nei suoi contrari qualora lo desiderasse».
Bertozzi rimase in silenzio, come se quello che aveva letto fosse già sufficiente per giustificare tutta la sua storia.
- Ebbene? - disse Furio De Mattia.
- Ebbene? Non ti sembra suggestivo? Clementi giovane incontra questa donna straordinaria e lei gli consegna, pare, la chiave del successo e della prosperità. Noi stiamo cercando una donna così, no? Perché non potrebbe essere la stessa?
- Potrebbe essere - mormorò Furio De Mattia. Ma si vedeva che non era molto convinto.





Zurigo, 28 dicembre 1995.



- L'uomo ha già la pergamena - disse il gigante.
- Perfetto - sussurrò Peter Hymet -. Puoi andartene. Passa dalla cassa 69, chiamerò Helga per dirle che ti dia un supplemento, te lo sei guadagnato.
- Grazie - disse il gigante, e se ne andò.
Peter Hymet rimase per un momento pensoso. Senza volerlo, si lasciò trasportare dalle sue fantasticherie, finché il dolce suono dell'interfono le interruppe. Era Helga.
- Il signor Hock dice che gli ha promesso una somma…
- Ah, sì! rispose Peter Hymet -; dagli seicento franchi, per favore e addebitali sul conto C/28 0976… Grazie Helga!
Poi prese subito il telefono e digitò il numero di Marietta. Quando rispose le disse:
- Organizza un incontro con l'antropologo per questa sera, dopo le otto.
- Bene - disse Marietta e riagganciò.




Roma, 3 gennaio 1996.



- Il suono è la ragione di tutta l'esistenza - disse Bertozzi - E' il suono che causa le onde nell'acqua e imprime nell'aria cerchi concentrici che si dilatano in successione proprio come succede nell'acqua di un lago quando si butta una pietra.

«La vibrazione molecolare è un movimento che crea, sostiene e trasforma la vita…
«Per la fisica, il suono ha origine da ogni movimento più o meno rapido di va e vieni; il suono sarà grave o acuto a seconda della velocità del movimento e della qualità della materia che gli serve da conduttore».
Vi era un gran silenzio quella sera. Una grandine finissima cadeva sulla città. Laura, in quel momento ascoltava in silenzio, affascinata. Lieve, «allegro e non presto», il Concerto in do maggiore per oboe e violini di Albinoni, agiva da avvolgente cortina.
- Ma mio padre mi insegnò un sapere che portò dall'Oriente, acquisito durante la sua prigionia nel Tibet:
«Secondo lui, un'energia essenziale produce il suono; gli orientali la chiamano Akaza. Questa vibrazione essenziale si modifica per produrre i quattro elementi fondamentali della natura: Terra, Aria, Acqua e Fuoco.
«Quella energia primigenia nel senso macrocosmico genera il Tejas, come movimento positivo verso il concreto e negativo verso l'astratto. Da questo emerge la potenza in movimento o Vayú; poi questa sostanza si concretizza trasformandosi nella natura umida, per materializzarsi più tardi, addensandosi nelle masse di materia oggettiva.
«Le differenze sono caratterizzate dalla gravità e dall'acutezza del suono. Fra lo stato Akaziko o sottile, e il concreto delle forme, esiste come differenza una scala graduale di suoni, dall'acuto al grave, dal grave al medio, dal medio all'alto e dall'alto all'ultra, non registrabile dai sensi umani, come non è udibile l'infrasuono che sostiene la sostanza molecolare dei minerali e dei vegetali e che si eleva in progressiva gradazione per dare origine agli organismi e agli esseri di un'evoluzione superiore.
«Ecco perché per far funzionare la nostra pergamena abbiamo bisogno di un suono, o meglio di una confluenza di suoni (Alhazred disse: cantare il testo…)»
- E quali saranno i suoni giusti?
- Non lo so. E' un altro aspetto del problema che dovremo analizzare.
Con un'ispirazione improvvisa, Laura mormorò:
- Ricordi quella poesia di Baudelaire… La vie antérieure…
- Oh sì… - esclamò Bertozzi - che Henri Duparc mise in musica… bell'esempio: Laura, ti amo…
- E' qui… è qui… - disse Laura, cercando affannosamente tra i numerosi dischi ordinati nel mobile - Eccolo qui!
Subito un pianoforte malinconico precedette la bella voce di Rosamunde Illing che lentamente cominciò a dire:

J'ai longtemps habité sous
de vastes portiques
Que les soleils marins
teignaient de mille feux.
Et que leurs grands piliers,
droits et majestueux,
Rendaient pareils, le soir,
aux grottes basaltiques.


Les houles, en roulant les
images des cieux,
Mêlaient d'une façon
solennelle et mystique
Les tout-puissants accords
de leur riche musique
Aux couleurs du couchant
reflété par mes yeux.


C'est là que j'ai vécu dans
les voluptés calmes,
Au milieu de l'azur, des
vagues, des splendeurs
Et des esclaves nus, tous
imprégnés d'odeurs,
Qui me rafraîchissaient le
front avec des palmes.


Et dont l'unique soin était
d'approfondir
Le secret douloureux qui me
faisait languir.




Il suo nome è Azathoth, il dio cieco che esplode senza fine, e dalla sua morte nascono i mondi manifesti, pianeti, stelle, soli e i suoi abitanti, lesse Furio De Mattia e non poté fare a meno di rabbrividire.
… Yog-Sothoth, la materia informe, l'illusione che nessun uomo fuori dal Naxyr potrà mai vincere. Sta sulla soglia ed è parte della soglia Il suo volto è un cumulo di globi iridescenti che girano uno attorno all'altro. E uccide ridendo; le sue spirali sono mortali per chiunque sia tanto imprudente da lasciarsi ingannare. E' la corruzione della forma.
Stava quasi per smettere di leggere. Aveva trovato quello strano libro nella biblioteca di Santo Stefano Circolare. Un monaco con la pelle incartapecorita glielo aveva prestato senza alcuna raccomandazione, come se disfarsene gli importasse molto poco, benché fosse evidente a prima vista che era un esemplare unico.
V'era qualcosa di sinistro in quel volume dalle pagine appiccicose e ingiallite, interamente scritto a mano con caratteri comuni, spesso difficili da capire. Le espressioni idiomatiche di quell'italiano facevano pensare che fosse del XI o XII secolo, quando la lingua scritta era ancora molto giovane e non possedeva un'ortografia definitiva.
V'era un non so che di tenebroso in quell'oggetto. La copertina era fatta a mano con una pelle eccessivamente liscia, di colore rossiccio che al toccarla suscitava un'inspiegabile ripugnanza.
Vi fu un tempo in cui gli antichi abitarono a Nord, oltre il fiume di fuoco, nel deserto freddo in cui si ergeva la Montagna sconosciuta - continuò a leggere Furio De Mattia.
… Allora, Nyarlathotep pronunciò sette volte la Doppia Parola del potere segreto… Quella Parola è nascosta nel bosco incantato, nel regno più profondo del bosco incantato, nel regno più profondo del sogno, nel quale tutto è e non è.
Da quel mondo non v'è possibilità di fuga. L'unica via d'uscita è affrontare il misterioso guardiano che si nasconde oltre l'abisso, oltre la stella luminosa…
Che suggestione strana possedeva quel testo che sottoponeva la ragione a una serie di impulsi contraddittori, ora di attrazione ora di repulsione! La mente di Furio De Mattia si riempì di immagini, antichi ricordi, folgorazioni, incantesimi con il volto di Bertozzi che danzava nel mezzo come una proiezione nell'aria…
E quando arriverai, incontrerai Chi-non-ha-forma che si nasconderà a te sotto la maschera di un caos informe.
E ti rivelerà il cammino coln i quale potrai arrivare alla porta nera. E, tra le due colonne, griderai il nome di tua madre e ripeterai tre volte il nome di tuo padre. Ma, attenzione! Perché se lo farai senza doverlo fare, ti rivolterai contro te stesso.
Arrivato a questo punto lanciò un grido, senza poter evitarlo. Chiuse il libro di scatto e prese il telefono per chiamare Bertozzi. Ma il numero era sempre occupato.





Roma, 14 febbraio 1996.



- Una donna adriatica? - domandò come se parlasse tra sé Giorgio Mattioli - Vediamo - continuò con la sua potente voce da baritono -: potrebbe essere greca o albanese… potrebbe essere anche veneziana o slava, austriaca… croata, bosniaca o montenegrina…
- Opto per una greca - disse Laura.
- E' quello che pensarono gli investigatori di Mussolini - precisò Bertozzi -. Secondo quanto racconta mio padre nel suo Quaderno, rastrellarono villaggio su villaggio tutta la costa da capo Akritas a Tirana. Ma non trovarono nulla.
- Sembra la cosa più logica. I greci costituirono l'accesso alle culture antiche per il “nuovo mondo” europeo, che cominciò ad aprirsi solo sotto Giulio Cesare ma che prima alimentava soltanto una miriade di culture regionali…
- Non crederci - dise Mattioli -. Anche il Tirreno fu una via per le influenze antiche, così come il sud della Penisola Iberica…
- Ma in minor misura - disse Bertozzi -. Insomma quello che interessa a noi è trovare una donna adriatica…
- E' molto difficile! - esclamò Laura - Non abbiamo alcun altro dato!
- Vediamo - propose Mattioli - ordiniamo i dati (i pochi dati) di cui disponiamo: questa donna, secondo quanto sappiamo, dovrebbe essere: primo, una vecchia; secondo, probabilmente greca; terzo, molto intelligente ed educata; quarto, dovrebbe chiamarsi Hillen Fraates, o qualcosa di simile…
- Quello che dici sembra nel complesso molto logico… - riflettè Bertozzi - Vi sono soltanto due punti sui quali non sarei molto d'accordo…
- Ah sì? - interloquì Mattioli.
- Sì - continuò Bertozzi - Non mi sembra necessario che si presenti come una vecchia… lo dico per la nostra esperienza con Alhazred che si presentò a noi come un uomo di non più di 34 anni… Queste persone sono molto speciali… possono assumere, sembra, l'aspetto che abbisogna loro… E l'altro è che, non so perché (è solo un'intuizione), credo che la donna che cerchiamo non sia necessariamente greca.





Francavilla al Mare, 22 febbraio 1996.



- «Sabato 27 agosto 1427 - lesse Marinisa Bove - giunsero nei sobborghi di Parigi dodici penitenti: un duca, un conte e dieci uomini, dicendo che erano originari del Basso Egitto. Dichiararono che, in altri tempi, erano stati sconfitti e convertiti al cristianesimo. Più tardi furono invasi dai saraceni, ma la regione fu presto reconquistata dai polacchi, dai tedeschi e dagli italiani. Decisero di amministrare loro stessi quel paese, e decretarono che gli antichi proprietari di quelle terre le avrebbero recuperate se avessero ottenuto il consenso del Papa. Allora andarono numerosi, giovani, vecchi e bambini, tra grandi privazioni, fino a Roma. Confessarono i loro peccati davanti al Sommo Pontefice che, dopo aver consultato i consiglieri, impose loro come penitenza di vagare nel mondo per sette anni senza dormire in un letto».
Marinisa vide che erano le nove di sera, e ricordò che l'avevano invitata a una festa di compleanno. Ma si disse che avrebbe letto ancora un po' prima di prepararsi: il testo che aveva scoperto le sembrava affascinante.
«Alcuni giorni dopo, nel giorno del martirio di San Giovanni Battista, arrivò tutta l'orda: erano circa 200 persone, donne e bambini compresi. Dissero che quando avevano lasciato il loro paese in Egitto, erano circa mille, milleduecento anime; gli altri erano morti cammin facendo insieme con il re e la regina…
«In un bosco vicino al paesino di Hamel, a circa centocinquanta metri da un monumento druidico formato da sei pietre, vi è una fonte chiamata La Cucina della Fattucchiera, dove gli immigrati dimorarono per qualche tempo. La gente cominciò a chiamarli Faccia di lepre, Rom, Boemi o Gitani…
«Il signore di Vaillant racconta che discendevano da Mambres, i cui miracoli facevano concorrenza a quelli di Mosè… Il re d'Egitto - secondo questa versione - li mandò ovunque per spiare i figli di Israele e rendere insopportabile la loro sorte; erano gli assassini che Erode avrebbe utilizzato per sterminare i primogeniti di Belen; in realtà erano pagani, per gli altri, ma non capivano una sola parola di egiziano; la loro lingua, al contrario, aveva molte parole ebraiche; si diceva che fossero i sopravvissuti di una razza abbietta che dormiva nelle tombe della Giudea dopo averne divorato i cadaveri, gli stessi che nel 1348 furono cacciati, torturati e messi al rogo per aver buttato veleno nei pozzi e nelle cisterne italiane… Fossero ebrei o egiziani, eseni o cusi, faraonici o caftori, assiri balistari o filistei di Canaan, erano rinnegati e in Sassonia, Francia e ovunque erano buoni solo per essere arsi vivi o impiccati… »
Marinisa provò un brivido davanti a quelle affermazioni di intolleranza scritte con tanta scioltezza dall'autore. Ma continuò a leggere:
«La loro proscrizione ricadde anche sullo strano libro con cui erano soliti officiare le loro cerimonie segrete. Le immagini a colori, incomprensibili per una mente razionale, contenevano la sintesi grandiosa delle rivelazioni antiche, la chiave dei geroglifici egizi, le prime scritture di Henoc@@ ed Hermes, le clavicole di Salomone.
«Conteneva allegorie filosofiche e religiose tratte dai testi arcaici di Henochia, l'Ot-tara dell'India di cui l'Orsa polare o Arc-tura dell'emisfero nord rappresenta la forza maggiore (tarie) sulla quale poggia la solidità del mondo e il firmamento siderale sulla Terra. Di conseguenza, come l'Orsa polare che è considerata il carro del Sole, il carro di Davide e Arturo è il fato greco, il destino cinese, il caso egiziano e la sorte dei boemi e, nel loro giro incessante, le stelle spargono sulla terra auspici e fatalità, luce e ombra, freddo e caldo, da cui fluiscono il bene e il male, l'amore e l'odio…
«Nella pagina di mezzo di quello strano libro, vi è un diagramma cinese, consistente in caratteri che formano grandi scomparti oblunghi, ordinati in sei colonne perpendicolari, ognuno dei cinque primi scomparti è diviso in quattordici parti, per un totale di settanta, mentre il sesto è pieno a metà e contiene sette scomparti. Pure questo diagramma è formato secondo la stessa combinazione del numero sette; ogni colonna completa è due volte sette o quattordici scomparti, mentre la colonna di mezzo contiene sette scomparti. Questo diagramma risale alla prima epoca dell'Impero Cinese, vale a dire quando IAO prosciugò le acque del diluvio, circa seimilaseicento anni fa… »
Marinisa chiuse il libro di scatto e andò sotto la doccia. Ma il ricordo di ciò che aveva letto rimase a lungo nella sua mente e le sollecitò numerose riflessioni.




Losanna, 23 febbraio 1996.



- In pratica, come funzionerebbe questa pergamena? - volle sapere Peter Hymet.
- Secondo gli indizi che abbiamo trovato, si tratta di un asse di agglutinamento - rispose con cautela l'antropologo spagnolo -. Significa che la pergamena non contiene in sé una riserva di energia capace di funzionare, come potrebbe fare, con un esempio rozzo, un'automobile elettrica… La sua funzione consiste nel concentrare l'energia di chi lo tiene in mano per proiettarla, moltiplicata, su ciò che desidera modificare…
- Sì, ma come funziona… concretamente, con un esempio…
- Può materializzare oggetti?
- Sì, può materializzare oggetti… (non dimentichi che ciò che si sa su questa pergamena per ora sono soltanto teorie, ricostruzioni storiche in base a testi in molti casi senza certificato di autenticità…)
- Che oggetti sarebbe capace di materializzare, per esempio? - si spazientì Hymet.
- Quello che desidera… o piuttosto quello che sarebbe capace di immaginare… suppongo che un poeta potrebbe creare giardini incantati… Lei, sicuramente è capace di immaginare molto denaro; bene allora, in questo caso, potrebbe materializzarlo nella quantità che desidera con la pelle…
- Il denaro non mi converrebbe, sarebbe poi un problema per la numerazione… meglio materializzare oro… riflettè ad alta voce il banchiere.
Bene allora, oro - disse l'antropologo spagnolo -. Il meccanismo sarebbe più o meno questo: lei prende la pergamena, unisce le due parti, canta le lettere che sono scritte sopra…
- Cantare? - si stupì Marietta.
- In effetti - disse l'antropologo -. E' necessario cantarle. Questo canto, a sua volta, di riflesso, risveglia le prime note di alcuni suoni di trasformazione, e si mette in moto dopo una “interpretazione” cosmica di diverse armonizzazioni in accordo con gli oggetti da creare e che in definitiva è quella che sostiene la base di condensazione eterica che precede la materializzazione dell'oggetto. Tutto qui.
- Tutto qui? - esclamò Hymet - A me sembra quanto mai complicato e strano.
- Il suono è la base di tutta l'esistenza: la radioattività, per esempio, non è altro che suono in azione. Questo gli antichi lo sapevano già, come Pitagora, benché poi molte sue conoscenze furono respinte per un erroneo orientamento dominante della scienza, specie dei secoli XVIII e XIX. Ma sembrerebbe, secondo le nuove scoperte che tutto il Sistema Solare sia un enorme strumento musicale. Per questo la mitologia greca lo chiamava “la lira dalle sette corde”. Un filosofo disse: «lasciatemi scrivere la musica di una nazione e non mi preoccuperò di chi farà le sue leggi». Chiarisco che il termine musica non deve riferirsi a esecutori o ululanti volgari, tipo i Rollings Stones o gli Skorpions…
Marietta arrossì.

- No - proseguì l'antropologo -. La musica è quella che riuscirono a comporre e diffondere per esempio un Beethoven, un Vivaldi, un Fauré, Elgar o Tippett.
- Vuol dire che la musica è la chiave di questa pergamena? - domandò Marietta.
- Una delle sue chiavi. Ve ne sono altre che non conosciamo… - disse l'antropologo.
- Ma le otterremo. Una volta che Bertozzi avrà trovato la donna e ottenuta l'altra parte, faremo pressione perché ce la dia, insieme con i segreti necessari al suo funzionamento… - disse Hymet.
- Non credo però che Bertozzi li conosca - dubitò l'antropologo.
- Ma sta lavorando per questo… e ci riuscirà, a quanto pare, attraverso i suoi esperimenti inisti. E poi, una volta trovata la parte femminile dell'oggetto, possiamo persuaderlo a lavorare con noi, insieme… Bertozzi è un artista, non gli interessa il potere… potremmo offrirgli la diffusione e incentivi illimitati per l'Inismo, fino a trasformarlo in un movimento di moda, attraverso intense campagne in Europa e in America, specie con la televisione… Lo sa, il denaro facilita tutto, e sono disposto a investire quel che è necessario in lui, se è disposto a insegnarci l'uso della pergamena… E da parte mia - articolò Hymet, in tono sognante -, mi dedicherò a creare oro e tecnologia in azione, con un solo obiettivo: creare la potente Confederazione Helvetico-Italiana…
- Confederazione? - si meravigliò l'antropologo.
- Sì - proseguì Hymet -. Una potente nazione, la più potente del mondo… che resusciti le glorie dell'antico Impero Romano-Germanico… ma questa volta sotto il dominio di noi svizzeri, che oggi costituiamo, non c'è dubbio, insieme con gli italiani del nord, la razza superiore.
Lo spagnolo lo guardò preso dal dubbio. L'altro aveva dimenticato che stava parlando con un vero latino, dando libero sfogo alle sue velleità razziste. Dimenticava forse che tutta la parte concettuale di quell'affare doveva essere controllata da lui? Era questo un argomento di cui doveva tener conto, quando sarebbe giunto il momento della resa dei conti..





Parigi, marzo 1996.



L'incaricata della Videoteca degli Artisti Contemporanei del Centro Georges Pompidou era una donna di circa quarantacinque anni. Giovanni Agresti e Iniero Garesto l'avevano conosciuta lì già durante l'organizzazione delle conferenze di Bertozzi. Ma il loro attuale interesse era dovuto al fatto che avevano verificato certi dati su di lei che erano intriganti. Si chiamava Elen Fraatzek, era nata in un piccolo villaggio della frontiera tra Iugoslavia e Albania… sulle sponde dell'Adriatico.
Nonostante fosse molto bella e intelligente, non si era sposata. La sua vita intima era un mistero per i suoi compagni di lavoro che sapevano soltanto che viveva da sola in un quartiere appartato del centro della città.
Quando Giovanni e Iniero la avvicinarono, si mostrò sorpresa e non li riconobbe. I bellissimi occhi color caffè brillarono con un lampo ironico, perché credeva che i giovani cercassero solo una scusa per corteggiarla. Quando nominarono Bertozzi cambiò atteggiamento e li invitò ad andare nel suo ufficio.
- Non vogliamo farle perdere molto tempo - disse Giovanni - per questo la prego di scusarci se andiamo subito al sodo.
- Bene, di che si tratta? - disse la bella laureata in Arte.
- Si tratta della pergamena - rispose Giovanni.
Si produsse un silenzio imbarazzante, poiché Elen Fraatzek non pareva aver capito e restava a guardarli con aria interrogativa come se sperasse che le dicessero qualcosa di più. Alla fine, davanti al silenzio degli altri, domandò:
- Scusate, non sono sicura di aver capito bene ciò che ha detto… ha parlato forse di una pergamena?
- Certamente - rispose Giovanni che credeva che la donna stesse recitando per proteggere la preziosa reliquia che possedeva - La pergamena di Mái Edagá… o, meglio, di Qumram…
- Per cortesia, spiegatevi un po' meglio - chiese la funzionaria del «Georges Pompidou».
- Bene - disse Iniero, disposto a dimostrare tutto a un tratto che poteva fidarsi di loro -. Noi veniamo da parte dell'uomo che ha la missione di trovare e unire le parti della pergamena… Bertozzi… La pergamena che fu immaginata per la prima volta durante il tenebroso regno turanio@@; la cui conoscenza è passata agli egizi nel IX secolo avanti Cristo, ma non fu mai usata per il timore che ispirava, e il suo segreto fu consegnato simbolicamente e rinchiuso in vasi di ferro, ai tempi di Mernepta. La stessa pergamena che poi passò, perché la custodissero, ai sacerdoti recabiti di Israele; questi dovettero consegnarla a Ebdemelec l'Etiope ai tempi dell'invasione babilonese. Ebdemelec ebbe la missione di custodirla finché si fosse compiuto il tempo dell'esilio, ma al ritorno dei veri destinatari, i recabiti, dovette restituirlo. L'ultimo suo discendente, Qohelet, un saggio esenio, fu colui che per primo osò darle forma concreta, ingannato da una erronea interpretazione delle profezie. Ma un suo amico decise di impedire le temibili conseguenze che potevano derivare dal suo possesso da parte di quell'assassino di Erode, e gliela strappò dopo averlo ucciso. La metà positiva della pergamena andò a finire in Etiopia e l'altra metà a Partia… nelle mani di una donna bella e raffinata, che oggi si dice abbia l'aspetto di «una donna adriatica»…
Arrivati a questo punto i giovani rimasero a guardarla, aspettando. Ma la donna sembrava perplessa.
- Capisce ora di che parliamo? - chiese Giovanni.
- No - rispose la bella specialista di arte contemporanea del «Georges Pompidou» -.
Scusatemi, ragazzi, ma non capisco assolutamente niente di quello che mi dite!





Madrid, 8 marzo 1996.



- Due gruppi pericolosi stanno cercando la pergamena di Bertozzi - disse Molero Prior.
Flavio Donnini lo ascoltava allarmato. Francisco aveva ottenuto quell'informazione quasi per caso, grazie ai suoi contatti con la Polizia Spagnola.
- Uno di loro, il più pericoloso - continuò Molero - è un gruppo di fondamentalisti ebrei, i «Custodi della Parola».
- Sembra un nome canonico - mormorò Flavio.
- Lo è - disse Molero Prior -. Sono una setta Azhkenazin, si dicono jasidisti@@, ma agiscono dietro ordine di Geburah, il quinto Sephirah cabalistico. Si considerano una sorta di polizia segreta della fede, il cui dovere è custodire il rispetto della tradizione di Israele. Per questo chiunque si interessi ai testi ebraici, presto o tardi cade in sospetto.
- E gli altri?
- Gli altri, pare, sono solo delinquenti comuni che lavorano per un banchiere svizzero che cerca di appropriarsi della pergamena per soddisfare la sua ambizione smisurata. Ma anche loro sono molto pericolosi. Si muovono con parecchio denaro e potenti contatti internazionali. Li ha scoperti la polizia francese mentre stava investigando sui separatisti corsi. Seguendo le orme di un antropologo spagnolo che attirò la loro attenzione per i frequenti viaggi in Svizzera, arrivarono a scoprire questi cospiratori. Si infiltrarono nella rete computerizzata della banca che gestisce Hymet - così si chiama lo svizzero - e trovarono alcuni indizi strani nelle note personali di detto banchiere. Seguendo il filo, riuscirono ad accedere alla memoria dei computer che Hymet possiede - anche in rete - nelle sue case e uffici. Non trovarono nulla che si riferisse alla Corsica. Mentre possiedono schede su Bertozzi con una maggior precisione di dati di qualsiasi archivio italiano… La cosa colpì la loro attenzione, ma poiché non hanno ancora commesso alcun delitto, li lasciano continuare anche se sotto controllo… Uno dei capi più giovani dei corpi speciali, che è amico mio, poiché sa che sono un inista mi ha trasmesso questi dati.
Flavio fece la domanda che gli urgeva nel petto da un bel po'.
- Marietta collabora con loro?
Molero Prior lo guardò con un'aria di compassione negli occhi vivi. Poi rispose con voce molto bassa:
- Marietta è il braccio destro di Peter Hymet.





Pescara, 18 marzo 1996.



Angelo Cichelli quel pomeriggio rientrò dall’università più presto del solito. Patricia Iezzi stava prendendo un tè mentre organizzava il suo lavoro sulla Letteratura Francese. Gaia, la loro bambina, giocava sul tappeto con animaletti di legno.
- Mi ha sorpreso una ragazza del primo anno - disse Angelo mentre si preparava un tè.
- Era bella? - chiese Patricia.
- Al contrario - rispose Angelo -. Bassa, pienotta, un po' strabica…
- Oh! poverina! - disse ridendo Patricia.
Angelo era professore della cattedra di Scienza dell'Alimentazione dell'Università di Pescara. Nel pomeriggio aveva fatto una lezione, in laboratorio, con coloro che iniziavano quella materia.
- E che cosa ti ha colpito della ragazza?
- La vastità delle sue conoscenze - disse Angelo -. Per certi aspetti, sembra saperne più di me… mi ha lasciato perplesso.
- Forse ha studiato la materia prima della lezione… - lo consolò Patricia.
- No, non è il sapere di chi studia casualmente… ma di chi conosce e ha molta pratica di una materia… E non è che desiderasse mostrare le sue virtù scientifiche, al contrario, sembrava tanto poco motivata, restando in assoluto silenzio mentre gli altri mi coprivano di domande che, per incentivarla un po', la invitai a partecipare… Incominciò col farmi domande molto intelligenti; quando, dopo le mie spiegazioni aggiunse qualcosa, la indussi ad approfondire il tema e finì col darci una lezione di biologia molecolare…
- E come si chiama questo fenomeno? - chiese quasi retoricamente Patricia.
- Hillen Fraates…
- Hillen Fraates! - esclamò Patricia che nell'alzarsi di scatto aveva rovesciato la tazza (per fortuna già vuota) sui suoi appunti.
- La conosci? - domandò Angelo sorpreso.
- Eccome! - disse eccitata Patricia -. La stiamo cercando, con tutti gli inisti, da centinaia di anni!
- Centinaia! - ripeté Angelo. Dai suoi occhi Patricia si rese conto di aver detto qualcosa di molto strano. Allora chiarì:
- Beh… in realtà solo da alcuni mesi… è che sono stati così intensi, che a noi inisti sembrano secoli… Ma aspetta: devo chiamare Bertozzi… subito adesso!





Marina di Città Sant'Angelo, 19 marzo 1996.



Si convocò urgentemente un miniconcilio inista per parlare dell'importante notizia.
Patricia Iezzi raccontò i particolari dei quali era stata messa al corrente, su Hillen Fraates. Ma non erano molti. In sintesi si vide che fino a quel momento l'unica cosa valida era una coincidenza nel nome e una certa erudizione su temi scientifici.
Bertozzi era convinto che l'avevano trovata. Ma come mai non l'avevano trovata prima le centinaia di agenti militari che l'avevano cercata, rastrellando a palmo a palmo quel ferro di cavallo dell'Europa? E come poteva essere oggi una ragazza di solo diciotto o diciannove anni?
- Possono assumere l'aspetto che desiderano - precisò Laura. L'uomo che ci ricevette a Mái Edagá non pareva avesse più di 35 anni, ed era vissuto circa duemila e cento.
Dopo lunga riflessione, fu deciso che un incontro con Bertozzi era ancora prematuro, finché non si avessero maggiori certezze. Lisiak-Land Díaz fu designata per desumere questi dati.





Pescara, 20 marzo.



Lisiak-Land Díaz era una professoressa di origine peruviana che viveva in Italia da parecchi anni dopo essersi sposata con un ufficiale della Marina Mercantile Italiana. Intelligente e dolce, applicava alla sua vita quotidiana in modo creativo le risorse della ragione europea unite alle profonde conoscenze della tradizione ancestrale americana da cui proveniva.
Fu facile per lei trovare la ragazza e grazie all'aiuto di un impiegato amministrativo, la invitò nel suo studio. Hillen Fraates accorse immediatamente.
Lisiak la invitò a sedersi e si presentò. Ma la ragazza la sorprese dicendo:
- Aspettavo che mi chiamasse… ci conosciamo da prima, abbiamo anche stretto amicizia, ma lei non lo ricorda!
- Scusa, dove ci siamo conosciute? - chiese Lisiak.
- Fu in Sicilia, al tempo di Gregorio III… Gli arabi invadevano l'Italia e dal Nord minacciavano gli iconoclasti… Lei era uno scrivano molto devoto che soffriva grandi pene per i conflitti interni che agitavano il paese in quegli anni. Io lavoravo per la delegazione imperiale di Harun al-Raschid… Le salvai la vita quella volta, giacché, quando le truppe arabe presero Palermo, la città in cui lei viveva, cadde prigioniero insieme con i suoi superiori, che erano generali dell'Impero Romano di Occidente…
- Io ero uomo quella volta? - volle sapere Lisiak.
- Certo - disse Hillen Fraates -. Stavano per decapitarla sommariamente. Ma io segnalai al generale arabo che comandava quella spedizione, le sue conoscenze di italiano, spagnolo e latino, che potevano esserci molto utili.
- Così mi salvò la vita! - si meravigliò Lisiak.
- Sì, ma non si preoccupi. Mi restituì il favore, e rimase in quel secolo stesso senza debiti con me. Vent'anni dopo Michele III vinse gli arabi. Lei intercedette per me, poiché in quell'occasione dovetti subire il carcere nelle mani dei vincitori europei.
- Mi sembra sorprendente - disse Lisiak-Land Díaz - ma non ci sarei mai arrivata a pensarlo.
- E' naturale - disse la giovane di diciotto anni -; il Creatore ha disposto che non conosciamo le nostre esperienze precedenti finché raggiungeremo uno sviluppo spirituale che ci consenta di sopportarlo. Vi sono sempre nelle nostre vite passate (quando eravamo molto più ignoranti di ora) cattive azioni che esigono riparazione. E questo destino va liquidandosi gradualmente; così che, se conoscessimo le nostre vite passate, potremmo sapere come e quando la Legge di Causa ed Effetto ci porterebbe le conseguenze del nostro mal agire. Vedremmo l'orrenda calamità che si chiude sopra di noi, e la paura ci toglierebbe tutta la forza di cui abbiamo bisogno per combattere la battaglia contro il destino… quando la fatalità sovrasta, saremmo inermi e indifesi, non potremmo mai vincerla! E in questo modo, non potremmo nemmeno avanzare.
- Sai molte cose per la tua età! - esclamò Lisiak.
- Non lo creda. Al contrario, credo che la mia potenzialità sia piuttosto mediocre. Ho 1965 anni…
- Allora, tu sei…
- Sono io. La donna che Bertozzi cerca. E anche quella che lo aspetta per la sua liberazione.





Loreto Aprutino, 27 marzo 1996.



L'incontro con Bertozzi avvenne alle sei del pomeriggio, a casa di Hillen. Era un piccolo appartamento in una vecchia costruzione giallognola, in una stradina in discesa da dove si vedevano le montagne.
Bertozzi, solo, arrivò a piedi con quindici minuti di anticipo. Hillen lo aspettava sulla porta.
La ragazza, piccola, capelli castani, grassoccia, vestiva abiti molto comodi e leggeri.
- Conosci anche me da tanti secoli? - chiese Bertozzi, quando si furono accomodati nelle poltrone del salotto prismatico.
- No - rispose semplicemente la ragazza.
- Come sai, allora, che sono io colui che doveva venire?
- Esistono molti piani che gli umani «normali» non conoscono - rispose pazientemente Hillen Fraates -. In questi, chi è allenato può vedere, come in un film, gran parte di ciò che esiste nel mondo.
- E' lì che mi hai visto… - disse Bertozzi.
- E' così… ma non perché mi piaceva andare a curiosare nei fatti della gente, ma per una ragione molto importante: i Grandi Esseri mi avevano inviato un messaggero (già da vari secoli) che ci mostrò chiaramente come sarebbe stato colui che doveva venire.
Il rituale della cerimonia di consegna fu iniziato da Hillen alle sei. Durò esattamente trentasei minuti.
Quando Bertozzi uscì, stringeva contro il petto una valigetta di pelle nera, consunta dagli anni con dentro, avvolto nel velluto rosso, il cofanetto d'oro che conteneva la preziosa parte finale della pergamena.
Aveva cominciato a piovigginare. Qua e là piccoli fari giallognoli creavano un alone simile all'atomo bombardato dall'uranio. Le viuzze anguste scendevano e salivano nella penombra del corvo*. I capelli di Bertozzi gocciolavano sulla fronte; non aveva preso la precauzione di prendere l'impermeabile e il suo vestito bianco, di un solo pezzo, si stava inzuppando. Non gliene importava niente, a malapena se ne accorgeva. L'oggetto che portava, stretto contro il petto, gli trasmetteva una straordinaria leggerezza e una sensazione di serena allegria. Quasi non sentiva i piedi toccare il selciato: anzi credeva di galleggiare. Da lontano, distinse le luci della Tabaccheria Vincenzo Cavallone dove Laura - già un po' in pensiero - lo aspettava.
- Mi ha detto che non posso usarla.
Sulla via del ritorno Bertozzi raccontò a sua moglie le parti essenziali dell'incontro. Laura guidava…
- Non puoi usarlo?
- Nessuno può usarlo. Anzi: nessuno deve usarlo. La pergamena è qualche cosa che non dovrebbe esistere. Un'anomalia della natura. Qualche cosa di mostruoso come la bomba atomica o il Fondo Monetario Internazionale. Solo che quelli sono poteri ancora controllabili, nonostante la loro enormità. La pergamena possiede un potere troppo grande, deleterio per l'umanità, in questa tappa della sua evoluzione.
- Allora cosa dobbiamo fare?
- Dobbiamo restituirla.
- A chi?
- All'Essere Infinito, all'Innumerevole, alla cui sfera superiore fu illegittimamente tolto dagli umani.
- Non potevano farlo loro, Hillen e Abdul?
- Non potevano.
- Perché?
- Non lo so. Forse perché non erano sposati, come noi. Perché non si amavano, come noi. Questo ha suggerito Hillen. L'amore è una condizione imprescindibile per produrre la musica.
- Che musica?
- La musica che fa agire la pergamena. Senza quella musica, non serve a niente. In questo consiste il capire la Parola: non nel tentare qualche applicazione concettuale, ma nell'estrarre dal suo senso la musica. Ognuna delle nove lettere contiene un tipo di melodia. Che coincide con melodie che conosciamo, poiché le opere d'arte altro non sono che accertate incursoni di un genio umano nei piani superiori: esistevano già prima di lui. Ma le melodie della pergamena possono essere suonate da due anime. Due anime alle quali l'amore permetta di agire come il violino con l'arco.
Laura, d'un tratto, capì. E i suoi occhi si riempirono di lacrime.



* Nella tradizione ebraica chiamano penombra del corvo la dolce oscurità della sera che i cristiani chiamano orazione, e penombra della colomba quella dell'alba.




Terza parte






Roma.



Otto giorni dopo, Gabriele-Aldo Bertozzi andò alla posta per spedire alcune lettere e non tornò. Aveva detto a Laura che ne avrebbe approfittato per fare una passeggiata, ma quando furono le dieci di sera - era uscito alle cinque del pomeriggio - e non era ancora tornato, d'accordo con Furio De Mattia, Angelo Merante e Giorgio Mattioli decise di avvertire la polizia.
L'ufficiale in borghese che arrivò al più presto, li trovò riuniti, perché Laura aveva chiamato gli inisti dalle sette.
Al gruppo si erano aggiunti Flavio Donnini, Argentina Capriotti e Paolo Pelino. Molero Prior aveva telefonato dicendo che avrebbe preso il primo aereo in partenza dalla Spagna. Patricia Iezzi stava arrivando da Pescara.
Dopo aver discusso avevano deciso di raccontare tutto alla polizia. L'ufficiale e il suo aiutante non capirono assolutamente niente della storia della pergamena - come era da prevedere -, ma si diedero subito da fare per cercare qualche pista e ritrovare Bertozzi. A questo punto si erano fatte le tre del mattino.





Lucerna. Sabato 6 aprile 1996.



Gli avevano messo in camera uno schermo gigante. Lì poteva vedere la faccia di chi gli parlava.
Quell'uomo gli era assolutamente sconosciuto e indifferente. In realtà era una fisionomia che solo in un sensitivo poteva produrre quell'effetto - pensò Bertozzi. Biondo, occhi verdognoli, d'una cinquantina d'anni, vestito grigio. Apparve nello schermo dopo che gli individui che lo avevano rapito e portato in aereo fin lì gli dissero che doveva restarci per alcuni giorni.
L'uomo dello schermo gli chiese se avesse lamentele sul trattamento ricevuto durante il rapimento.
Bertozzi disse di no. In realtà lo avevano trattato con molta cortesia. Ma desiderava sapere perché, minacciandolo con le pistole, lo avevano obbligato a venire fin lì. Non gli avevano nascosto da dove venivano e forse se lo avessero invitato formalmente sarebbe venuto di sua spontanea volontà, sempre che il motivo lo giustificasse.
- Non potevamo correre rischi - rispose laconicamente l'uomo dello schermo.
- Almeno fatemi parlare al telefono con mia moglie. Prometto di non dirle dove sono - chiese Bertozzi.
- Non possiamo correre rischi - ripeté l'altro.
- Non è giusto - protestò Bertozzi -. Ma potreste almeno spiegarmi perché sono qui?
- Ne parleremo domani di persona, dottor Bertozzi - disse l'uomo biondo -. Deve essere molto stanco del viaggio. Dedichi per favore quel che resta del giorno per riposare. Faremo sapere a sua moglie che sta bene. Lasci fare a noi. Ma lei si riposi. Di qualsiasi cosa abbia bisogno può ordinarla per telefono. Sarà subito accontentato. Dopo essersi riposato, in mattinata verrà qualcuno da lei per indicarle il posto dove potremo parlare.





Roma.



- Ci sono due possibilità - disse Molero Prior. O sono i fanatici jasidim, o il banchiere svizzero.
«Se sono i primi… - continuò, ma subito si fermò quasi di soprassalto -… sarà molto difficile… molto difficile… possiedono un apparato internazionale potentissimo… e pericolosissimo… non agiscono per denaro, ma per fanatismo, e ciò li rende quasi invincibili. Ma se è la banda dello svizzero, non sarà molto difficile ritrovarlo. Sono un pugno di delinquenti in guanti bianchi, con poca esperienza se non nel puntar alla roulette o effettuare frodi ai danni dei computer delle banche. Non hanno coraggio né armi sufficienti per resistere a un assedio serio della polizia.
«In ogni caso sarà pericoloso. Uno non sa mai cosa può fare un individuo armato quando lo si mette alle strette. Come un gatto rinchiuso. Spero che non facciano come il gatto.
- Mi ha circuito solo per carpirmi informazioni su Bertozzi e io, stupidamente, gliele ho date - mormorò Flavio. Sembrava costernato.
- Non ci pensare - lo consolò Laura - Chiunque può ottenere informazioni su Bertozzi: la sua vita è pubblica. Ma il fatto che ti abbiano avvicinato, ora ci favorice. Altrimenti non avremmo avuto la certezza che potevano sequestrarlo.
- Voi credete che quei gruppi rischierebbero tanto per un pezzo di pelle vecchia? - disse la polizia.
- Lo crediamo - dissero all'unisono Molero e Patricia.
- Bene. Da chi cominciamo?
- Propongo che cerchiamo prima in Svizzera - disse Flavio Donnini.





Lucerna. Domenica 7 aprile



A Bertozzi la ragazza che sedeva accanto all'uomo dello schermo, con un bloc notes sulle gambe che uscivano dalla minigonna cortissima, parve vagamente familiare. Forse era stata sua allieva in qualche università… Ma non aveva tempo di riflettere su questo.
- Lei sa che l'abbiamo portata qui per la pergamena - disse il banchiere Peter Hymet dopo brevissime formalità. Bertozzi non rispose. L'uomo, dietro la scrivania a forma di racchetta - una stupida pacchianata, aveva pensato Bertozzi - insisté:
- Insomma, lo sa o non lo sa?
Bertozzi decise di rispondere con franchezza.
- Non importa se lo sapevo; me lo ha già detto lei. Ora mi chiedo: crede che potrebbe usare la pergamena in caso gliela dessi?
Lo svizzero rimase per un attimo sorpreso. Non aveva previsto che potessero arrivare così presto al nocciolo della questione.
- Certo che lo credo - affermò -. Lei, oltre a consegnarmelo mi insegnerà a usarlo. Non gratuitamente, certo. Le offrirò una somma mensile di denaro perché possa vivere tranquillo per il resto dei suoi giorni. E poi le darò appoggio (un grande appoggio), con le mie imprese, perché possa diffondere l'Inismo in tutto il mondo… non vi sarà un angolo del pianeta in cui non conosceranno le opere d'arte dell'Inismo, con l'impulso pubblicitario che gli daremo. Organizzeremo esposizioni, happening inisti, show televisivi, magliette e berretti inisti, un sito permanente su Internet… Ma, come le dicevo, oltre a consegnarmi la pergamena, dovrà insegnarmi a usarla… sappiamo già che conosce il metodo.
Bertozzi abbozzò un sorriso triste, scuotendo la testa.
- Oh no, signor… come ha detto di chiamarsi?
- Hymet.
- Oh, signor Hymet - interloquì Bertozzi, non credo sia possibile!
- Perché? - si spazientì il banchiere.
- Mi permetta di farle una domanda - disse Bertozzi -. E' sposato?
- Sono divorziato - rispose Hymet.
- E dopo non ha incontrato qualcuno che pensi di amare sinceramente?
- L'amore ce l'ho quando voglio - disse il banchiere - mi basta pagare per quello. Ho bisogno per caso di un fastidio permanente?
- Lei sa che questo non è amore - disse Bertozzi.
- Ma che cazzo c'entra questo? Vuol portarmi in un consultorio sentimentale? Mi parli della pergamena, è quella che mi interessa.
- Mi dispiace, signor Hymet… lei non potrà trarre nemmeno un briciolo del suo potere dalla pergamena.
- Perché?
- Non potrebbe capire…
- Bertozzi, per favore, non mi faccia perdere la pazienza… Mi dispiace ricordarle che posso obbligarla a dirmi quel che desidero sapere…
- Signor Hymet… non si tratta di qualcosa che io possa dire - disse commiserandolo Bertozzi.
- Cosa vuol dire con questo? - si inalberò lo svizzero - Per caso che unicamente lei può far funzionare la pergamena?
- E' così - rispose Bertozzi.
Hymet lo guardò alcuni istanti con ira. Per un momento sembrò che volesse alzarsi per colpirlo. Ma non lo fece. Al contrario, recuperò completamente la calma, e con tono pacato affermò:
- Bene, dottor Bertozzi. Sarà meglio che si abitui a noi, visto che lei è l'unica chiave che ci permetterà di accedere ai segreti della pergamena, la useremo costantemente, a beneficio di tutti.
- Non le servirò a niente… - mormorò con fastidio e ripugnanza Bertozzi.
- Come, non mi servirà! La indurremo a far funzionare la pergamena! Non mi crede capace di farlo?
- Sì, lo credo. Ricorrere alla violenza è il modo più facile per chiunque. Ma il fatto è che non posso farla funzionare da solo…
Immediatamente dopo aver detto questo Bertozzi si pentì. Lo sguardo di Hymet tornò a farsi acuto e la collera incipiente gli colorò la faccia. Ma prima che dicesse qualcosa, entrò bruscamente lo sbirro filonazista che aveva visto a Roma con Laura. Era trasformato e aveva una rivoltella in mano.
- Scusi, dottore - disse: Abbiamo alla porta un poliziotto e dice che siamo circondati… Che facciamo? Resistiamo?…
Hymet diventò un'altra volta pallido, ora più del solito.
Lascia fare a me - rispose, avviandosi -. Li riceverò io.
Bertozzi rimase solo con la ragazza.
- Mi scusi, eccellenza - disse in italiano.
- Ci siamo conosciuti da qualche parte? - rispose Bertozzi.
- Sono amica di Flavio Donnini… oh, lui mi odierà dopo questo!…
Bertozzi la guardò per un momento.
- Conosce qualcuno dei significati della parola amicizia? - disse poi.
- Oh, eccellenza, quanto mi pento!
- Quel che state facendo è stupido - affermò Bertozzi.
Lei non disse niente. Ma diventò rossa come un peperone.


Dopo circa dieci minuti tornò in scena Hymet. Era tutto sconvolto in volto.
- Non ci resta che arrenderci e consegnare Bertozzi - mormorò rivolto alla segretaria.
Senza dir niente, Marietta proruppe in lacrime.
- Quei mostri hanno circondato la casa con un arsenale capace di farci saltare in aria in due minuti - continuò Hymet gridando -. Sono un fallito, Marietta! - esclamò inusitatamente. Solo ora capisco che non sono nato per queste cose…
Poco dopo, senza gloria, e con molta pena, i cinque uomini - compresi lo spagnolo e la ragazza furono fatti salire sul cellulare della Polizia antiterrorista svizzera.
Bertozzi, da parte sua, dopo aver abbracciato Laura e i compagni inisti, salì su una macchina con cui erano venuti a cercarlo.





Pescara, 8 aprile. Ore 22.



Semplicemente scomparsa - disse Angelo -. Come per magia.
- Lei conosceva la magia - gli ricordò Patricia.
- E' qualcosa di incredibile - insistette Angelo -. L'ho cercata nella lista degli studenti, per mettere a verbale la sua assenza, ma ho visto che non vi figurava più.
«Mi sono detto: deve essere un errore di questa copia. Sono andato al computer, ho guardato la lista di tutti gli studenti del primo anno… Non c’era nemmeno lì! Poi ho guardato la lista di tutti gli iscritti all'Università degli ultimi tre anni, non c'era! Semplicemente era sparita, come se avessi sognato.
- Hai chiesto agli altri studenti?
- Sì! e anche ai professori, e ai ricercatori! Nessuno la ricorda, eccetto io!




18 maggio 1996.



Bertozzi e Laura fecero un ritiro assoluto di 40 giorni durante il quale si astennero da ogni contatto fisico e si nutrirono solo con latte, miele e vegetali. Nel castello di S. Apollinare, lontano da ogni agitazione esteriore, si disponevano a mettere in funzione la pergamena, seguendo rigorosamente le istruzioni di Hillen Fraates.
Cinque inisti e quattro iniste li accompagnavano. Erano stati selezionati proprio per questa missione. Dovevano custodire il rituale della pergamena, senza permettere che alcun incidente esterno turbasse la seduta. I nomi erano:
Lisiak-Land Díaz
Marinisa Bove
Patricia Iezzi
Argentina Capriotti
E anche:
Giorgio Mattioli
Furio De Mattia
Angelo Merante
Francisco Juan Molero Prior
Flavio Donnini.


Alle ore 18 del 18 maggio si riunirono tutti attorno alla stanza circolare nella quale Bertozzi e Laura si erano rinchiusi con le due scatole che contenevano la pergamena.
Pochi minuti dopo che furono entrati, cominciarono a sentire una musica dolce, come di violini che usciva dalla stanza.
- Hanno qualche strumento con loro? - domandò Furio.
- E' la musica delle loro anime - rispose Patricia -, questo significa che stanno cercando di far funzionare la pergamena.
Ma dopo un po' di musica sublime, cominciò a sentirsi qualcosa di radicalmente diverso, suoni simili alla colonna del film «United of Plutonium» del giapponese Tetsuji Kobayashi.
Ciò proccupò gli inisti che erano a guardia del rituale. Durante alcuni lunghi minuti quei suoni persistettero. La situazione parve aggravarsi quando, di tanto in tanto, le musiche si interrompevano, riprendendo bruscamente con suoni simili a martellate su un tamburo, o stridii acuti, fino a ricordare a tratti le esecuzioni più violente di Led Zeppelin o Deep Purpple.
Ma dopo un momento di incertezza tutto si calmò. E cominciò a suonare, da dentro, il Concerto n. 2 di Rachmaninov. Laura e Gabriele avevano imparato a memoria uno schema fornito loro da Hillen Fraates. In quello erano segnate le chiavi musicali della Parola. Eccolo qui:






Dopo un momento di profonda concentrazione, dai cuori di Gabriele e Laura, seduti entrambi davanti al tavolo dove erano poste le due parti della pergamena, emerse una linea di luce che, prendendo come vertice la pergamena, formava un triangolo perfetto che li univa. All'interno di quella linea circolava una vibrazione luminosa che in accordo con la pronuncia mentale di ogni lettera fatta all'unisono, si impregnava di diversi colori.
Al prodursi di qualche disappunto o deconcentrazione, i colori si sporcavano, la linea sembrava segata, la musica si interrompeva, dando origine ai più vari rumori.
A poco a poco, però, gli sposi riuscirono a ottenere la pronuncia perfetta, il cui requisito era che nel farlo, avrebbe dovuto suonare la melodia indicata da ogni passaggio della costruzione eterica della Parola.
Quando arrivarono al Concerto di Rachmaninov successe la cosa più straordinaria.
Quattro esseri giganteschi, sovrapposti, come se fossero trasparenti, si manifestarono davanti agli occhi stupiti di Laura e Bertozzi. Erano pieni di occhi davanti e dietro, e quattro paia di ali spuntavano i lati. Il primo assomigliava a un leone; il secondo a un toro; il terzo aveva il volto umano, e il quarto assomigliava a un'aquila in volo. Quegli esseri ripetevano soltanto:
Santo, Santo, Santo, colui che era e colui che è e colui che viene. Degno sei di ricevere la gloria, l'onore e il potere, perché lo creasti tutto, e per tua volontà è esistito e si è creato.
Allora videro apparire un angelo, con l'arcobaleno intorno al capo, il volto come un sole e i piedi come colonne di fuoco che teneva tra le mani un libro aperto. L'angelo parlò con voce possente e disse:
E' questo il momento in cui dovete scegliere tra il bene e il male.
Potreste ordinare quello che desiderate, a partire da ora, alla pergamena. Ma questo potere che avrete per mille anni, dopo la sua estinzione vi farà retrocedere per 200 milioni di anni nell'evoluzione, fino a convertirvi un'altra volta nei minerali più primitivi che esistono nell'Universo. A partire da allora dovreste ricominciare di nuovo ripercorrendo tutto ciò che avete vissuto per arrivare fin qui.
Se decidete per il Bene, dovete restituire questo pezzo al suo proprietario, nostro Creatore. In tal caso dovete portare le scatole di piombo e d'oro in un piccolo villaggio, chiamato Garza, nella provincia di Santiago del Estero, in Argentina. E' questo un punto che forma un triangolo perfetto con Pescara e Mái Edagá, nella mappa del mondo. Lì v'è una piccola cappella che apparteneva alla famiglia dei Revainera. Quando arrivate lì, dovete consegnare sull'altare, l’oggetto divino.
Tutto scomparve e la stanza per un momento cadde nella penombra. Splendeva soltanto il filo di luce a forma triangolare che univa Laura con Bertozzi e la pergamena. Cominciarono a passare davanti ai loro occhi con immagini simili a quelle olografiche, le maggiori creazioni della civiltà sulla terra. Il Taj-Mahal, Versailles, la Piazza Rossa, gli immensi parchi meccanici degli Stati Uniti, i fiumi di denaro che escono dalle zecche delle banche statali tedesche, giapponesi e nordamericane…
Aerei con un'artiglieria tra le più moderne attraversavano come uccelli d'acciaio il cielo limpido; i corpi di ballo delle razze più varie intraprendevano a turno danze straordinarie con milioni di colori; schermi televisivi giganteschi trasmettevano una e più volte le più grandi meraviglie della tecnica del XX secolo…
All'improvviso Bertozzi si girò di scatto verso Laura, tagliando il flusso di luce e immagini.
- Che succede? - gli chiese.
- Dobbiamo portare la pergamena a Garza - disse Bertozzi, con voce agitata.
- Lo credo anch'io - rispose Laura.



Buenos Aires, 22 giugno 1996.



Laura e Bertozzi arrivarono in Argentina in un giorno di pieno sole. Subito si trasferirono all'aeroporto Jorge Newbery, dove dovevano prendere l'aereo che li avrebbe portati a Santiago del Estero. Alle quattro del pomeriggio arrivarono a Huaico Hondo. Lì li aspettava l'Inista Argentino che era già al corrente dei passi che dovevano fare gli italiani.





Santiago del Estero, 24 giugno 1996.



Il giorno prima avevano camminato un po' per la campagna santiaguegna. Non assomigliava a niente di tutto ciò che avevano visto prima. Ingannevolmente incolta o desertica, a tratti, in alcune sfumature ricordava i quadri più famosi di Dalì. Gli alberi - sottili, ascetici - parevano mani gesticolanti al cielo. La terra, ocra, possedeva un magnetismo straordinario che al solo calpestarla sembrava riempire il corpo di intense vibrazioni. E una musica strana, costante, vibrava nell'animo appena ci si allontanava un po' dal rumore della città.

- Quella cappella è appartenuta ai miei avi - riferì l'Inista Argentino. Erano le quattro del mattino e viaggiavano - Bertozzi e Laura, l'argentino e sua moglie Gloria - su un autobus molto confortevole, che doveva condurli fino a Garza. - Su quel luogo esiste un'antica leggenda.
«Si dice che gli aborigeni venerassero una pietra senza tempo, caduta dal cielo. Era una pietra azzurra con vari segni incisi e un airone bianco per corona. (Era quello il segno degli antichi Toltecas). Quando arrivarono i conquistatori spagnoli la pietra sparì. Alcuni dissero che era tornata in cielo. Altri che era sepolta molto profondamente nello stesso luogo dove anticamente veniva venerata. La prova di ciò sarebbero state certe luci che, nelle sere invernali, si vedevano emergere da quel posto.
«Gli spagnoli, anche se non videro mia niente, davanti al persistere degli indios che prendevano ogni notte l'antico centro come luogo di devozione, decisero di costruire lì una cappella.
«Poco tempo dopo fu distrutta da un gruppo di indiani che si impossessò di quel luogo per quasi cent'anni. In seguito, quando un mio avo comperò quel terreno, adempì a un vecchio voto e insieme con la casa ricostruì la cappella».
Alle cinque e mezza del mattino arrivarono a Garza. Camminando per le viuzze sterrate, nella penombra rosata dell'alba, giunsero alla cappella dei Revainera.
La porta era socchiusa. Emozionati per il momento, Bertozzi, Laura, Gloria e l'Inista Argentino entrarono nella navata in semplice stile coloniale e si diressero verso l'altare, dietro il quale, murato alla parete, c'era il cofanetto di quebracho colorato che custodiva il calice della consacrazione.
L'argentino e sua moglie si fermarono a metà, lasciando avanzare Bertozzi e Laura che portavano in mano i cofanetti d'oro e di piombo contenenti le due parti della pergamena.
Giunti all'altare si fermarono. Lentamente depositarono sulla ruvida tovaglia di lino le due scatole. Poi si inginocchiarono. L'Inista Argentino e Gloria, li imitarono. Passarono alcuni istanti. Una tenue spera di sole cominciò a filtrare attraverso il vetro rosa di una vetrata. Come un raggio laser si diresse direttamente sul piano dove c'erano i due cofanetti di metallo. Appena li colpì, videro sorgere una luce intensa e diafana che vibrò nell'aria per alcuni istanti. Il fulgore si mutò in un cestello di fiori che s'innalzò lentamente verso un cerchio di luce sorto fluttuando vicino alla cripta in penombra della cappella.
Dopo di ciò, la luce scomparve. Tutti guardarono verso l'altare: non c'era niente. Anche i cofanetti di piombo e oro erano scomparsi, come se non fossero mai stati lì.
Una musica profonda si fece sentire, simile al passaggio «Quando corpus morietur» dello Stabat Mater di Dvorak.
Gli inisti si guardarono senza saper che fare. Laura e Gabriele andarono incontro all'Inista Argentino e a sua moglie. Erano molto felici. Senza dir nulla si abbracciarono.









© Quipu Editorial, Universidad de Pescara, It. 1997.
© Versión italiana: ESI - Roma-Napoles, 1999.
© Traduzione di Patricia Iezzi